Troppo facile, almeno a sentire gli psichiatri, invocare in questo caso il raptus, una follia momentanea che invece nella vicenda del piccolo assassinato pare tutt’altro che scontata. Anzi, se davvero è stata la mamma a uccidere il bimbo, l’azione della donna pare essere stata organizzata a dovere, lucidamente programmata, attenta per quanto possibile a coprire le tracce. Determinata peraltro nel nascondere ad esempio al marito un turbamento che forse neppure c’è stato. A meno che proprio in questo non si intravedano i segni di un disturbo mentale.
Certo è che se mai si arriverà a un’imputazione formale, a un processo, magari proprio su questo disagio psichico punterà la difesa per alleggerire la posizione della donna, e sarà come sempre battaglia di perizie. Pare quasi di rivedere il caso Cogne, anche allora un bimbo ucciso, una madre prima sospettata, poi arrestata, infine condannata, con la differenza di un marito che per Loris già ha detto di essersi sentito crollare il mondo addosso, mentre nel caso di Samuele il padre non ha mai rinnegato la moglie. Con una considerazione finale: come sempre nei casi che dividono l’opinione pubblica, come per Cogne, l’Italia sì dividerà fra colpevolisti e innocentisti. Ma il dubbio sulla vera colpevolezza – grazie a processi sempre più celebrati sui media – continuerà per anni ad aleggiare nell’aria.