Quando si parla di riduzione di imposte, in un paese come l’Italia, è sempre una buona notizia, da qualunque parte arrivi. Quando si parla di pressione fiscale si snocciolano numeri e suggestioni, alcuni che dicono che qui si paghi oltre il 70% di imposte, cosa assurda anche se immaginifica perché i numeri stessi di PIL e introiti erariali lo vanno a smentire, certo è che la questione fiscale resta centrale perché laddove lo stato intermedi circa la metà del PIL un problema, effettivo, c’è. Attenzione, però, a non confondere la pressione fiscale con il total tax rate, visto che il secondo somma alla prima anche i contributi previdenziali e gli oneri obbligatori ed è particolarmente pesante su professionisti e PMI ma andiamo per gradi.
Oggi la pressione fiscale in Italia è poco sotto il 42% e peggio di noi ci sono Francia, Belgio, Austria e Finlandia ma anche la Germania non si discosta molto dal dato italiano potendo scontare un vantaggio di poco più di messo punto percentuale. Quello che cambia, come già accennato, è il c.d. total tax rate che per lavoratori autonomi e piccole imprese tocca il 64%, come calcolato da Ambrosetti, su una media europea del 40,6% cosa che crea non pochi squilibri a livello di competitività del sistema. In questo quadro l’annunciata riduzione sia dell’IVA sia del cuneo fiscale, cioè del prelievo “occulto” sul costo del lavoro perché totalmente a carico dell’azienda, non può che rappresentare una vera e propria “boccata d’aria” per l’intero sistema economico, pur senza andare ad affrontare le vere criticità, energia e sistema fiscale in generale, di cui si è parlato ampiamente in passato.
Partiamo dall’Iva. Nella penisola, oggi, esistono quattro aliquote IVA: 4% per i beni di prima necessità, 5% come aliquota “ridotta”, 10% e 22% come aliquota massima, e le ipotesi in campo, al momento, sarebbero due o tagliare l’aliquota massima di tre punti riportandola al 19% come prima del 1997 oppure di riportare questa al 21% e abbassare di 2 o 3 punti percentuale l’aliquota del 10%; ogni punto in meno di IVA, comunque, vale circa 3,4mld a livello massimo e di circa 3mld per quella al 10%; in entrambi i casi si potrebbe stimare un costo complessivo per l’erario di oltre 11mld di mancato introito. La cosa interessante, però, è che un intervento come il secondo ipotizzato andrebbe a impattare direttamente sul costo dell’energia dando una prima riduzione dei folli prezzi complessivi (componente energetica+oneri di distribuzione+imposte) oggi applicati che rappresenta uno dei punti chiave per la competitività del sistema. L’effetto più visibile, però, sarebbe una riduzione generalizzata del livello dei prezzi al dettaglio anche se il taglio ipotizzato non sarebbe sufficiente, credibilmente, a dare una scossa al comparto dei consumi.
La questione del “cuneo fiscale”, invece, mostra già delle caratteristiche interessanti perché per i lavoratori con redditi fino a 40’000 euro vedranno la riduzione del carico fiscale direttamente in busta paga. Il cuneo, cioè l’ammontare del carico fiscale e contributivo sul lavoro, in Italia è pari al 46% diviso tra lavoratore, 20,6%, e datore di lavoro, 25,4%, e la riduzione è stata prevista esclusivamente per i lavoratori che godranno di una detrazione supplementare fino a 600 euro fino a fine d’anno, riduzione che andrà a scalare fino ad azzerarsi al raggiungimento dei 40’000 euro di reddito annuo. Perché fino a fine anno? Perché è prevista una revisione strutturale del sistema delle detrazioni, cosa che, normalmente, dovrebbe far scattare un campanello d’allarme in ogni cittadino visto che, storicamente, ognuna di queste revisioni/rimodulazioni è andata veramente a favore di tutti.
Che dire, quindi, di queste proposte? Come già detto ogni riduzione di imposta è un bene che, però, deve essere sostenibile. Secondo le indicazioni del presidente dell’INPS Tridico a regime questo taglio costerebbe 7,1mld di euro che si andrebbero a sommare ai circa 11mld del taglio dell’IVA per un totale di circa 17mld di euro facendo un calcolo, se pur spannometrico, piuttosto realistico. Visto che il detto TANSTAAFL, l’acronimo di “there ain’t no such thing as a free lunch” che in italiano può essere reso con “non esistono pasti gratis”, reso celebre da Robert A. Heinlein e da Milton Friedman è sempre valido anche questi interventi dovrebbero avere delle reali coperture finanziarie, come anche previsto dall’articolo 81 della Costituzione, che non possono basarsi su meri previsionali d’entrata resta la scelta obbligata tra nuovo debito, con i conti già sotto pressione per l’emergenza sanitaria da SARS-Cov2, e taglio della spesa.
Della seconda ipotesi, finora, non sembra esserci traccia… Inoltre nei piani del Governo non c’è traccia dei punti salienti di una possibile riforma fiscale, tra razionalizzazione delle scadenze e dei tributi richiesti e il costo dell’energia (come già accennato sopra), che sembrano non rientrare nelle priorità più legate a interventi spot piuttosto che strutturali; il Premier Conte parla di “reinventare l’Italia” ma piani in tal senso, anche solo in bozza, non si sono ancora nemmeno intravisti.