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Italia-Russia, qual è il vero rapporto al di là delle leggende?

Lo scenario bellico generato dall’invasione russa in Ucraina sta monopolizzando l’attenzione dei media, come logico che sia vista la portata dell’evento e le possibili conseguenze che questo possa avere a livello economico e nella vita di tutti noi. La prima risposta della maggioranza degli stati europei, come della comunità internazionale, è stata la condanna dell’azione intrapresa dal Cremlino e, a lato degli aiuti umanitari e al sostegno all’esercito ucraino, è stata l’applicazione di severe sanzioni alla Federazione Russa, cosa che ha acceso un certo dibattito su cosa questo possa portare.

Diciamo che gli effetti principali che queste ultime possano causare si dividono in tre macro-categorie: importazioni, esportazioni ed eventuali effetti sui partner commerciali esteri. Alt… Un lettore attento potrebbe obiettare su quale dibattito possa generare una valutazione, seppur previsionale, basata su dati certi quali siano i numeri relativi alla bilancia commerciale ma… c’è un “ma” che si riferisce a suggestioni e mitologie che negli anni sono sorte intorno a quello sconfinato paese che si estende dall’Europa fino alla punta estrema dell’Asia. Memori del passato, quando la Russia faceva parte dell’URSS che, come superpotenza economica (in apparenza, almeno) e militare, si contrapponeva gli Stati Uniti, in molti continuano a considerare come un gigante capace di influenzare e, financo, di controllare i mercati, soprattutto sulle materie prime. Bene non è esattamente così.

La Russia è sì un gigante militare, ancor oggi, ma un nano economico, con un PIL di poco superiore a quello della Spagna e pari a circa il 78.6% di quello italiano (dati 2020 su dati della Banca Mondiale) basato soprattutto su servizi interni e un’industria quasi esclusivamente estrattiva e militare.

Il reddito pro-capite viaggia intorno ai 10’200 usd all’anno, contro i 31’700 usd italiani ed è interessante, poi, che nonostante gli indici di Gini, che misurano la concentrazione dei redditi, siano similari tra Italia e Russia, mentre la popolazione urbana ha uno stile di vita quasi europeo la popolazione rurale vive ancora in un’economia di sussistenza.

Vediamo, però, come sia composta la produzione di ricchezza della Russia; di primo acchito, sempre facendo riferimento ai dati della Banca Mondiale, sembrerebbe un’economia di servizi, molto simile a quelle più sviluppate, dove il comparto del terziario rappresenta il 62% del Pil, l’industria il 33% e l’agricoltura il 5%.

La cosa particolare è che il settore estrattivo rappresenti quasi la metà di tutto il comparto industriale, generando il 15% del PIL ma che sommato al valore complessivo delle attività legate al mercato degli idrocarburi arrivano a rappresentarne il 60% mostrando una differenziazione dei comparti produttivi minima e una forte dipendenza alle variazioni di prezzo del mercato del settore unita a un fortissimo “rischio tecnologico” in vista di una possibile “transizione energetica” nei prossimi anni.

Il quadro che si delinea è, quindi, quello di un sistema economico con i “piedi di argilla” che potrebbe essere messo in seria crisi da un qualsiasi shock esogeno visto che, pur essendo il secondo produttore mondiale di gas e il terzo di petrolio, la mancanza di industrie e di know how costringe Mosca a dipendere completamente da Cina e Europa per la fornitura di beni lavorati e di tecnologia.

Nonostante queste evidenze, principalmente sui social network e nei talk show, si paventa un’apocalisse se la Russia chiuda i propri flussi commerciali in risposta alle sanzioni. È davvero così? Vediamo quanto valga per l’Italia. Partiamo dalle esportazioni verso la Russia. Complessivamente il valore dei beni prodotti per quel mercato vale 7.7mld di euro pari a circa un 1.5% del totale di merci esportate ogni anno.

Salvo che per alcune aziende mono-cliente (o quasi) anche un blocco totale del commercio avrebbe un impatto minimale sul sistema economico italiano, tra lo 0.3% e lo 0.4% del PIL, che rappresentano cifre facilmente compensabili con una maggiore focalizzazione su altri lidi, magari verso Cina e USA che, stanti i valori di crescita, potrebbero benissimo sostituire la Russia come controparte commerciale in breve tempo. Se dal lato dell’export non ci sarebbero problemi, cosa succederebbe, invece, dal lato dell’import? Ecco, qui le cifre diventano un po’ più cospicue.

Complessivamente lo scorso anno sono state importate merci per quasi 14mld di euro di cui circa 8,4mld di prodotti estrattivo/minerari, 3,1mld di metallurgici e 1,3mld di prodotti da raffinazione del petrolio.

In pratica sulla totalità dell’import che rappresenta il 3% del totale delle merci acquistate dall’Italia nel 2021, il 91% è rappresentato da materie prime in particolare dal gas naturale che, secondo una certa vulgata rappresenterebbe il 40% di quello consumato in Italia ma così non è, almeno non più.

Già da inizio di quest’anno, ben prima dell’attacco russo in Ucraina, l’Italia ha iniziato a diversificare maggiormente le forniture di gas naturale riducendo già a febbraio la dipendenza dal gas russo a circa la metà del quantitativo importato mediamente solo nel 2021. La maggior parte delle forniture arriva dall’Algeria, come sugellato recentemente in un nuovo accordo bilaterale con lo stato africano, ma si stanno già attivando nuovi contratti con altri stati e contrattando l’acquisto di nuove navi rigassificatrici tramite SNAM per aumentare la capacità di acquisto anche di gas liquefatto sui mercati mondiali.

In questa maniera, senza ridurre di un metro cubo il consumo nazionale e senza contare le possibilità di estrazione dai giacimenti sul suolo italiano (che necessiterebbero di anni per essere riattivate) sebbene non sia possibile, oggi, escludere la Russia dal novero dei fornitori italiani sarebbe possibile, in brevissimo tempo ridurre la dipendenza lato gas al 10% massimo del fabbisogno nazionale, un quarto cioè di quanto importato fino allo scorso anno. L’obiezione che, correttamente, potrebbe sorgere a questo punto sarebbe “e se la Russia tagliasse le forniture per rappresaglia?”

Stante l’immagine di superpotenza rappresentata sui social da taluni e da alcuni commentatori in TV è evidente che questo potrebbe essere uno spauracchio non indifferente, anche perché il 10% di fornitura è, in ogni caso, una quantità rilevante e, comunque, altri stati come la Germania, che è il primo partner commerciale e industriale dell’Italia e che dipende in maniera molto superiore dalle forniture russe, non hanno la possibilità di sostituzione dei fornitori come nel caso italiano e una ritorsione come la chiusura delle esportazioni danneggerebbe pesantemente tutto il loro sistema economico e il nostro di riflesso.

Fortunatamente la situazione è assai diversa! Ad oggi la Russia non ha alcuna possibilità di interrompere le forniture all’Europa che rappresenta, il 57% dell’export per un totale di oltre 188mld usd e la situazione valutaria, dopo gli ultimi provvedimenti, non è delle migliori poiché il rublo ha valore sulla base delle partite correnti, quindi dei flussi valutari in entrata nella Federazione e le riserve, secondo la Banca Centrale Russa, sono agli sgoccioli.

L’interruzione dei flussi di valuta da parte europea porterebbe sì a una nuova recessione nel continente, con un crollo stimato del PIL pari al 3%, ma sarebbe devastante a livello finanziario per la Russia perché per sostituire l’Europa con la Cina, in ipotesi, occorrerebbero anni, per costruire i nuovi gasdotti e portarli a regime e il risultato sarebbe il default dello stato e la chiusura di ogni approvvigionamento di merci e servizi, destinandosi a un ruolo di paese satellite, credibilmente, della Cina e non è credibile che sia lo scenario che i vertici russi stiano ipotizzando.

Matteo Gianola: