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Perché l’ira rimane un peccato capitale

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Sembra che molti di noi nella vita abbiano sperimentato l’ira. Anzi, oggi l’ira è così usuale da non sembrare più essere un peccato: la si giustifica con la necessità di essere naturali, di far uscire le emozioni, senza reprimere niente. Pensando troppo a noi stessi, al nostro equilibrio psicologico, non prendiamo in considerazione gli effetti di alcuni nostri comportamenti.

L’ira è il peccato più rapido. Esce subito e in men che non si dica fa danno. In alcuni casi, per fortuna, può anche finire presto. Tra i pensieri cattivi descritti da Evagrio Pontico, l’ira occupa solo il quarto posto – dopo la gola, la lussuria e l’avarizia. Nella classificazione di Gregorio Magno, dalla quale risultano setta peccati capitali, l’ira è posta ancora più lontano, come penultima: dopo la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola e poi lei..l’ira. Sembra quindi poco pericolosa. Per alcuni anche utile – e questa opinione viene giustificata dalla storia dal Vangelo che leggiamo questa terza domenica di Quaresima. Ecco Gesù stesso, mite e umile di cuore che “fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi”. Che sorpresa! Che forza!

Tutti e quattro gli evangelisti raccontando questo episodio subito sentono il bisogno di giustificarla. In Giovanni leggiamo: “I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: ‘Lo zelo per la tua casa mi divorerà’”. Gesù infuriato, arrabbiato, adirato. Bella scusa per tutti coloro che attraverso azioni radicali o violente vogliono introdurre i valori cristiani. Così ha agito Gesù, allora cosa fare, come interpretarlo?

Per capire bene questo suo comportamento si deve comprendere la sua ragione. L’ira esplode facilmente, spesso senza un motivo sufficiente. Scaturisce dalle nostre frustrazioni. È una reazione a tutto ciò che non siamo riusciti a raggiungere. Come spiegano i commentatori di Evagrio, l’ira arriva quando qualcuno non riesce a soddisfarci con i piaceri della gola, del sesso e del possesso. Si potrebbe considerare questa tesi come una semplificazione. Tuttavia è vero che i peccati sono connessi gli uni con gli altri ed uno provoca l’altro.

Qual era la ragione di questo comportamento violento di Gesù? Era davvero l’ira?

Se la associamo con l’azione violenta, si potrebbe dire di si. Se invece guardiamo i motivi, la risposta non sarà affatto facile. Gesù non ricompensa le proprie passioni. Il dinamismo che lo orienta, in un certo senso relazionato all’ira – viene identificato dall’evangelista come zelo – ha un’altro carattere. Si riferisce al Padre, al suo culto. Qui conta l’intenzione che giustifica.

Quindi la religione può giustificare la violenza? Ci sono motivi che giustificano il comportamento emozionale ed esplosivo? Che cosa significa “lo zelo per la casa del Padre” che divorava Gesù?

San Benedetto distingue lo zelo buono da quello cattivo. Nel capitolo LXXII della sua Regola scrive: “Come c’è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all’inferno, così ce n’è uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna” (RB 72, 1-2). Ecco il mistero del comportamento di Gesù nel tempio: il modo di usare il dinamismo interno che si accumula mentre ci impegniamo per le cose importanti. È il dinamismo in se buono. Porta avanti tante nostre azioni. Solo che deve essere ben orientato.

Gesù propone l’orientamento diretto verso Dio. Guardiamo però anche come esercita questo dinamismo: Gesù sembra controllare i suoi gesti, e temperare tutto ciò che fa. Sì. Raggiunge l’effetto, ma con un certo stile. Interessante, come tratta le persone: “scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: ‘Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!’” In tutto ciò che fa, anche violentemente, sembra esserci una sorta di rispetto. Le sue emozioni non lo accecano – come succede spesso nell’ira. Lui non smette di mantenere un equilibrio, solo intensificando il dinamismo della sua volontà. Non compie alcuna vendetta, non è cattivo né malvagio. Esprime la sua indignazione e ne spiega anche il motivo. Si concentra sul messaggio che vuole trasmettere con questo tipo di comportamento: un messaggio da leggere insieme a tutta la sua condotta. Ecco come si devono interpretare le famose parole di S. Paolo “adiratevi e non peccate!” (Ef 4, 26)

Che buona lezione per la Quaresima: orientare i forti dinamismi che sono in noi nelle direzioni giuste – per rendere gloria a Dio.

padre Bernard Sawicki: