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Investimenti green: fondamentale avere obiettivi chiari

Avere obiettivi chiari ĆØ fondamentale per prendere decisioni, evitare inutili discussioni e rendere piĆ¹ semplice il processo decisionale.

Il dibattito italiano sulla proposta della Commissione europea relativa alla tassonomia degli investimenti Green (cioĆØ lā€™elenco delle attivitĆ  ritenute ambientalmente compatibili e utili per raggiungere gli obiettivi al 2030 e al 2050 e sulle quali indirizzare investimenti, compresi quelli dei fondi europei) evidenzia una volta di piĆ¹ questa necessitĆ . La Germania, eterno paragone per il nostro paese, ha chiari i suoi obiettivi, ed anche la Francia sembra averli. Se pensiamo ai forti finanziamenti degli scorsi anni sul settore industriale, nei documenti ufficiali la Germania dichiarava che era importante investire nelle tecnologie di Industria 4.0 perchĆ© questo avrebbe permesso di mantenere (ed aumentare) a livello globale il vantaggio competitivo del sistema produttivo tedesco e di riflesso consentiva di mantenere il benessere dei cittadini tedeschi.

Sulla politica energetica e sulla tassonomia sembra ripetersi lo stesso film. Ursula von der Leyen (che ĆØ tedesca) nel presentare la strategia del Green Deal europeo ha piĆ¹ volte affermato che lā€™obiettivo di unā€™Europa climaticamente neutrale ha anche lā€™obiettivo di rendere il nostro continente piĆ¹ competitivo, proprio grazie alla capacitĆ  di introdurre nuove tecnologie e nuovi processi produttivi Green. Lā€™obiettivo, stavolta a livello europeo, ĆØ comunque quello di garantire o conquistare una supremazia della manifattura europea.

Torniamo alla tassonomia. Nonostante la contrarietĆ , piĆ¹ formale che sostanziale, anche da parte delle associazioni ambientaliste, in Germania e Francia, ĆØ chiaro che prevedere al suo interno il gas e il nucleare risponde alla necessitĆ  di salvaguardare il loro sistema produttivo da eventuali ed ulteriori turbolenze, oltre a difendere i loro investimenti (ITER ā€“ il progetto internazionale che si propone di realizzare in Francia un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale, e North Stream 2 ā€“ il secondo gasdotto dalla Russia alla Germania, in primis). Dire no, ideologicamente ed aprioristicamente, ad una o lā€™altra tecnologia non ha molto senso rispetto agli obiettivi del 2030 e del 2050. La situazione creatasi, in particolare guarda caso proprio in Italia, con le forniture di gas rendono ancora piĆ¹ chiare le ragioni per cui ĆØ necessario avere un mix sia energetico che di fornitori, dimostrando tra lā€™altro lā€™utilitĆ  del gasdotto TAP e lā€™opportunitĆ  di utilizzare risorse nazionali. Riteniamo quindi positiva la proposta del ministro Cingolani, di raddoppiare la produzione di gas nazionale e diversificare le fonti di approvvigionamento. Se dobbiamo usare il gas naturale, anche solo, come auspichiamo, nella fase di transizione, ci sembra logico prima di tutto sfruttare fino in fondo i nostri giacimenti o quelli dove vi sono partecipazioni di imprese italiane, piuttosto che importarlo da paesi che presentano rischi di vario genere, compresi quelli geopolitici. Ma questa fase deve essere non solo un obbligo momentaneo ma una strategia di lungo periodo.

Sul nucleare va detto che molte imprese italiane sono coinvolte nel progetto ITER o partecipano ad iniziative legate al nucleare, con numerose ricadute in termini di innovazione tecnologica. Nel frattempo, in Italia, sembriamo tutti affetti dalla sindrome Nimby, perchĆ© dobbiamo ancora decidere dove localizzare il deposito nazionale per stoccare i rifiuti radioattivi che derivano dalle attivitĆ  industriali, medico-sanitarie e di ricerca e saremo anche costretti a pagare cifre elevatissime per mantenere allā€™estero, le vecchie scorie delle nostre centrali nucleari non avendo ancora deciso dove localizzare il loro deposito (di fatto la stessa perversa logica dei rifiuti).

A prescindere dalle diverse opinioni sulla tassonomia ĆØ oltremodo urgente dare massima prioritĆ  e rapiditĆ  agli investimenti per le fonti rinnovabili che hanno il grande pregio di aumentare fortemente lā€™indipendenza energetica dei singoli paesi. Non vorremmo perĆ² che le discussioni sulla tassonomia europea ed il paventare lobby delle energie fossili coprano lā€™incapacitĆ  di decidere, continuando di fatto a dire no a tutto, senza prendere decisioni con il classico rimpallo di responsabilitĆ  tra le varie istituzioni e gli onnipresenti ā€œComitati del noā€, dimenticando che stavolta dobbiamo rispettare le scadenze del PNRR. A tal proposito, sarĆ  importante anche intervenire nella conferma di progetti di riconversione giĆ  avviati o di progetti da realizzare di impianti di produzione energetica (centrali elettriche, raffinerie), con trasformazioni orientati allā€™utilizzo di biocomponenti o di rifiuti. Interventi necessari non soltanto per la sostituzione del mix energetico, ma anche finalizzati al contenimento dei possibili costi sociali ed occupazionali che emergeranno durante questo lungo periodo di transizione.

In conclusione, la politica energetica e la scelta degli investimenti devono essere legate ad obiettivi chiari, come lo sono la difesa del nostro sistema produttivo e dellā€™occupazione, senza estemporanei nazionalismi e senza illusioni da ā€œanime belleā€. Occorre aver chiaro e ricordare sempre a tutti che il benessere acquisito dallā€™Italia, non nasce dal nulla ne ĆØ garantito per sempre, ma ĆØ frutto della professionalitĆ  delle lavoratrici e dei lavoratori e della competitivitĆ  del sistema produttivo ed imprenditoriale. Non difendere o non migliorare questi elementi vuol dire far diminuire il nostro stesso benessere.

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