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Intelligenza artificiale: la centralità del tema nel dibattito politico e sindacale

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Foto di Peace,love,happiness da Pixabay

Ormai il tema dell’intelligenza artificiale è centrale nel dibattito politico e sindacale; è evidente che l’evoluzione tecnologica nel corso del tempo avrà un impatto assai rilevante in ogni campo ma, forse, gli allarmi odierni sono un filo esagerati. Il fatto reale è che con l’introduzione della AI generative e l’apertura al pubblico di piattaforma come ChatGPT iniziano a far intravvedere le potenzialità di queste innovazioni, soprattutto a livello lavorativo. La paura, oggi, è che le AI possano andare a sostituire intere categorie di lavoratori e, eliminando ogni possibile fraintendimento, lo faranno e neppure in tempi così lunghi.

Il processo, però, non è una cosa di ieri ma, nonostante sia in atto da diversi anni, è balzato agli onori di cronaca negli ultimi mesi, quando la possibilità di interrogare e dialogare con un’AI è stata estesa a tutti coloro che accedano a internet.

La parola “internet”, però, dovrebbe già far capire che tutti i timori che si stanno diffondendo non sono fenomeni estemporanei ma ricorrenti a ogni “balzo tecnologico”, ogni volta che viene diffusa una tecnologia rivoluzionaria la paura si diffonde tra la popolazione, soprattutto nei segmenti meno addentro alla questione a livello professionale o di interesse personale. A fine XIX secolo ci fu la protesta luddista bei confronti dell’introduzione dei macchinari tessili alimentati a vapore, accusati di voler cancellare il lavoro di migliaia di persone, nella seconda metà degli anni 90 del secolo scorso, poi, fu l’avvento di Internet, appunto, a spingere la paura della trasformazione sia della società e, conseguentemente, del mercato del lavoro con la perdita di molti impieghi, soprattutto quelli più “bassi” e meno specializzati.

Ovviamente nulla di tutto questo avvenne, anzi, si crearono nuove professioni, la tecnologia divenne un partner fondamentale per semplificare varie operazioni e si aprirono diverse opportunità di sviluppo che, poi, sono diventate palesi a tutti, tanto che, oggi, è difficile rinunciare alle possibilità che offre il web sia a livello lavorativo, sia a livello informativo, sia, cosa non scontata, a livello ricreativo. Avverrà così anche con le intelligenze artificiali?

È una cosa assai probabile anche perché, come si nota nella trattazione fin qui condotta, si parla al purale di intelligenze artificiali e non di intelligenza artificiale tout court, questo perché ogni tipo di AI è, oggi, settoriale, non è una replicazione i una mante umana, né sotto l’aspetto dell’apprendimento, né a livello dell’elaborazione, né, tantomeno, a livello cognitivo: le intelligenze artificiali, infatti, non hanno coscienza di quello che imparano, non hanno memoria sulle elaborazioni ma sono dei “compilatori”, si limitano a rispondere a delle domande sulla base dell’algoritmo di base del loro programma e attingendo le informazioni da un database, potenzialmente, sterminato a cui hanno accesso.

Si dice “autoapprendenti” perché il loro output va, poi, a implementare il database suddetto creando un “precedente” a cui attingere in caso di query similare in futuro (ed è questo per cui i sistemi chiedono sempre un riscontro sulla qualità della risposta) e, diciamolo, questo potrebbe sicuramente andare a sostituire determinati lavori, anzi li hanno già sostituiti da tempo senza che nessuno se ne sia accorto.

Già da anni esistono assistenti elettronici, soprattutto per assistenza tecnica e per il primo livello di assistenza clienti da parte delle aziende, i c.d. chatbot, che altro no sono che delle intelligenze artificiali autoapprendenti applicati al primo contatto con la clientela e alleggerire il traffico verso gli specialisti nell’assistenza permettendo di ricevere velocemente una risposta alle questioni più comuni e che non richiedano interventi diretti, come la guida per poter gestire il proprio profilo, in maniera autonoma, nel caso dei canali di intrattenimenti in streaming, ad esempio.

Una banca italiana, addirittura, vinse anni fa un prestigioso premio per l’innovazione con la messa a terra del bot che gestiva il primo contatto con l’help desk, dimezzando, di fatto, i tempi di intervento per le varie problematiche in cui un operatore di filiale o uno specialista di direzione poteva incontrare nel corso del suo lavoro; questo a riprova che il processo di introduzione di varie forme di intelligenza artificiale sia in atto da anni, senza grossi scossoni ma spingendo una riqualificazione del lavoro verso livelli più alti che è l’effetto che, con un’altissima probabilità avremo nei prossimi anni quando le AI diventeranno degli assistenti, sicuramente fenomenali una volta sviluppate al meglio, nell’opera degli esseri umani.

Ok, tra qualche anno non vedremo più i cassieri in banca o nei supermercati, questo è assolutamente credibile, sostituiti da sistemi interattivi gestiti da dei robot (non è fantascienza ma una realtà che ancora non è diffusa solo per la preferenza della clientela perché già possibile da anni) ma nasceranno delle figure di consulenza più specifiche, liberate dalle incombenze operative più basse, e non è esattamente un male perché la crescita professionale e il passaggio da mansioni operative e ripetitive, routinarie potremmo definirle, ad altre più di concetto e stimolanti, a livello intellettuale, è sicuramente auspicabile così come certi altri lavori assumeranno un’importanza ancor più alta e, perché no, attrattiva a livello di scelta delle persone. Su YouTube ho trovato un video breve su un possibile spaccato di vita scolastica tra qualche anno, ad esempio, che nella sua leggerezza e ironia spiega molto meglio questa idea.

Una maestra chiede ai suoi alunni che lavoro facciano i genitori, i bambini iniziano a elencare quei titoli che, già oggi, si vedono su CV e sugli articoli di giornale, dall’influencer al food blogger, dal consulente di marketing digitale al content creator finché uno di loro dice lapidario “mio papà fa l’elettricista”. Di fronte alle ironie e ai lazzi dei compagni, che sminuiscono il lavoro del genitore, il bimbo ribatte “ma state zitti, se mio padre non lavorasse più sareste tutti figli di disoccupati” e questo è!

Matteo Gianola: