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Perché l’inflazione galoppa negli Usa e resta sotto i target in Ue

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Dopo anni di stasi ecco che in USA l’inflazione torna a crescere e in maniera sostenuta, segnando un +5,4% su base annua cioè l’aumento più marcato da tredici anni a questa parte, mentre in Eurozona il livello resta ancora sotto i target della BCE a +1,98% medio ma con una varianza anche piuttosto elevata tra gli Stati membri (si va, infatti, da una situazione deflattiva in Grecia con un tasso del -1,22% a una ben più corposa in Lussemburgo con un +4,05%).

Ma cos’è alla fine l’inflazione? Secondo la “teoria classica” la si definisce come un aumento generalizzato dei prezzi che, a loro volta, altro non sono che la quantità di moneta scambiata per acquistare beni e servizi. Da qui si vede il legame indissolubile tra l’inflazione e la moneta ma, prima di parlare di quella, è bene capire cosa sia veramente quest’ultima.

Diciamo, quindi che la moneta altro non sia che l’insieme di attività usate per le transazioni economiche con tre caratteristiche principali: l’essere una riserva di valore, l’essere unità di conto (quindi la base su cui si costruiscono in prezzi) e essere un mezzo di scambio accettato comunemente. La moneta, ancora, può essere divisa in due tipologie: la moneta merce e la moneta fiduciaria (o “fiat” come solitamente viene indicata).

La moneta merce è un bene che viene utilizzato come numerario per esprimere i prezzi (le conchiglie, ad esempio, o l’oro) e può essere utilizzata anche in forma di rappresentazione in maniera che possa essere anche facilmente suddivisa ma con l’opzione della convertibilità a vista, che è il cosiddetto commodity standard di cui il gold standard altro non è che un caso particolare; in questo caso la moneta ha un valore intrinseco, cioè non solo dato dal livello dei prezzi ma anche dal valore della merce numerario sottostante. Questo rende, però, il mezzo suscettibile a variazioni di valore che dipendono non solo dal mercato monetario, cioè dalla mera domanda e offerta dei sistemi di pagamento, ma anche dal valore della merce utilizzata come unità di misura cosa che potrebbe anche creare degli squilibri in caso di forti variazioni di uno qualunque dei due mercati. La moneta fiduciaria, invece, è sottoposta solo al mercato monetario non avendo un valore intrinseco ma solo un valore convenzionale derivante dal gioco di domanda e offerta di moneta.

Si è parlato molto di domanda e offerta finora perché le dinamiche inflattive dipendono proprio da questa tensione e non meramente dalle politiche monetarie, come invece spesso si sente dire da qualche sirena sui media.

Iniziamo a vedere in cosa consistano le politiche monetarie prendendo l’esempio della Banca Centrale Europea, non consideriamo direttamente la FED, anche se ne parleremo dopo, perché per statuto non ha solo il compito di garantire la stabilità dei prezzi e del mercato valutario ma anche un tasso di crescita sostenuto dell’economia e il massimo livello occupazionale possibile e, in questo, si discosta da una banca centrale tradizionale.

Dicevamo che la Banca Centrale gestisce l’offerta di moneta principalmente attraverso tre strumenti: le operazioni di mercato aperto, come le immissioni di liquidità in euro periodiche, le operazioni attivabili su iniziativa delle controparti, per assorbire o immettere liquidità nel brevissimo periodo (generalmente in overnight), e la detenzione delle riserve obbligatorie, per stabilizzare i tassi di interesse e creare un fabbisogno strutturale di liquidità nel sistema interbancario.

Con la crisi finanziaria di una decina di anni fa, però, anche altre operazioni sono diventate piuttosto conosciute, pur rientrando nel novero delle misure non convenzionali, come le operazioni di rifinanziamento a lungo termine (LTRO o TLTRO) e le operazioni di acquisto di titoli obbligazionari sul mercato secondario in cambio di liquidità (Quantitave Easing). Ecco, queste azioni in risposta alla crisi hanno fatto urlare, a più di un commentatore, a mosse inflattive (e effettivamente lo dovrebbero essere nel breve termine) paventando un pericolo di iperinflazione stile Weimar ma che, come si è visto, non si è avverato. Il perché deriva proprio da quello che, in realtà, sia l’inflazione.

Questa, si diceva, viene percepita meramente come un aumento dei prezzi ma, in realtà, non è esattamente così poiché i prezzi potrebbero aumentare sia per dinamiche di mercato, come nel caso dell’aumento dei costi delle materie prime, sia per decisioni politiche, con l’apposizione di nuovi costi fiscali come nuovi dazi all’importazione o l’aumento dell’IVA, senza che l’inflazione si alzi di un solo centesimo di punto. È un caso estremo, ovviamente, ma possibile che spiega bene come l’aumento dei prezzi non sia causa dell’inflazione ma ne possa essere conseguenza.

Non starò qui a tediare nessuno con la spiegazione analitica dell’iterazione fra domanda e offerta partendo dall’equazione quantitativa della moneta, quindi, detta con l’accetta, l’inflazione altro non è che una perdita di valore della moneta come mezzo di pagamento, solitamente dovuta a una maggiore offerta di questa rispetto alla domanda effettiva.

Nel caso della moneta merce, quindi del commodity standard, questa perdita di valore può derivare non solo dalle politiche monetarie del sovrano ma anche da un calo del valore della merce numerario, come accadde, ad esempio, nella seconda metà del 1500 in Spagna sotto Filippo II quando dalle Americhe arrivarono ingenti quantità d’oro e di metalli preziosi che ne schiantarono i prezzi così come il valore delle monete che con essi erano coniate; nel caso, invece, della moneta fiduciaria le dinamiche dipendono solo ed esclusivamente dalla risposta del mercato alle politiche monetarie della Banca Centrale eliminando, così, una esternalità non certo di poco conto come quella illustrata poco fa.

In questo caso la crescita dell’inflazione dipende solo da come la domanda vada ad accogliere la nuova offerta di moneta, questo significa che, asintoticamente, se gli operatori assorbissero con domanda crescente ogni ampliamento della base monetaria l’inflazione potrebbe tendere a zero anche in caso di continua espansione delle basi.

Questo ancor più se gli strumenti di politica monetaria utilizzati fossero a somma zero nel medio-lungo termine, quindi con aspettative di ritorno alla situazione precedente nel futuro.

I vari tipi di LTRO o di QE, infatti, non hanno effetto permanente perché i primo sono meri finanziamenti a termine, per quanto di medio periodo, mentre il secondo, almeno come strutturato in Eurozona, consiste nell’acquisto di titoli obbligazionari sul mercato secondario (non in fase di asta per non distorcere troppo i meccanismi di emissione) e mantenuti a scadenza, incassando le cedole e, al termine, il rimborso dell’obbligazione chiudendo la partita contabile.

Non si tratta, infatti, di un meccanismo di liquidazione del debito pubblico ma piuttosto di stabilizzazione dei mercati e, come tale, non ha generato shock inflattivi in questi anni di applicazione.

Perché, quindi, la differenza di risultato tra due azioni, che parrebbero simili, effettuate in USA dalla FED e in EU dalla BCE? Perché in USA l’inflazione galoppa oltre il 5% e in EU raggiunge a malapena il livello obiettivo del 2%?

La risposta, credibilmente, sta nell’azione della FED che ha immesso liquidità in maniera molto più che proporzionale a quanto richiesto dal mercato per contrastare gli effetti della crisi pandemica dello scorso anno, dovendo agire anche per la massimizzazione dei tassi di occupazione, ben sapendo che, nel lungo periodo, gli effetti reali dell’inflazione siano pressoché nulli poiché l’aumento generalizzato dei prezzi riguarda anche i salari (che sono il “prezzo” del lavoro) e uno shock inflazionistico prima o poi porterà a un nuovo equilibrio con il ristabilimento dei prezzi reali a livello pre crisi (il problema è che la velocità di adeguamento dei prezzi non è esattamente identica per tutti e i salari sono i meno reattivi agli shock… però questo è un altro discorso) preferendo far correre i prezzi piuttosto che il tasso di disoccupazione.

La BCE, invece, opera solo con la missione sulla stabilità dei prezzi e per il mantenimento dell’inflazione entro il tasso “psicologico” del 2% che indicherebbe un sistema economico in crescita… la realtà, oggi, è diversa, però, e vedremo se il progetto di rilancio degli Stati membri post pandemia avrà i risultati sperati, intanto l’inflazione in Eurolandia resta mediamente al palo ma se l’obiettivo fosse stato quello di creare un unico sistema, giudicando la varianza interna per paese dei tassi, sembrerebbe che il risultato sperato sia ancora abbastanza lontano.

Matteo Gianola: