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L’inflazione che spaventa l’Europa

La quarta ondata della pandemia, con la comparsa di nuove varianti, è destinata a occupare nuovamente la scena politica. Il crollo di mercati finanziari del ‘’venerdì nero’’ è un segnale inquietante perché non è giustificato dai dati dell’economia reale, ma dalle preoccupazioni di un futuro molto prossimo di restrizioni e chiusure. Peraltro le maggiori difficoltà per quanto riguarda l’emergenza sanitaria si trovano nei Paesi guida dell’economia europea, a partire dalla Germania.

Di fronte a queste aspettative è destinato ad essere ancora sottovalutato (come è stato fino ad ora) la ripartenza dell’inflazione che ha il suo epicentro proprio nel Paese, la Germania, che più teme, per ragioni storiche e culturali, l’esplosione di questo fenomeno. La linea ‘’politicamente corretta’’ seguita fino ad oggi dalle autorità monetarie e dai governi è stata rivolta a rassicurare la temporaneità del trend, dovuta agli effetti della destabilizzazione del commercio mondiale a seguito delle misure di contenimento della pandemia adottate dai diversi Paesi spesso in modo disorganico. Anche questa linea di condotta ha una spiegazione nel timore dei governi che la ripartenza dell’inflazione determini un ripensamento radicale delle politiche di espansione fondate sul debito e sull’allargamento della base monetaria (non si dimentichi che le politiche deflazionistiche impostate negli anni ’80 del secolo scorso si basavano proprio sulla riduzione della base monetaria di allora).

Anche in Italia si è propensi a nascondere la testa sotto la sabbia, nonostante gli avvertimenti venuti in questi giorni dalla Commissione a limitare la spesa pubblica corrente, già nella legge di bilancio. Del resto da noi è invalsa l’opinione che fossero sbagliate le politiche di rigore e che il deficit spending sia la soluzione di tutti i problemi. Invece l’Istat – come il Grillo parlante – sottolinea che l’inflazione è aumentata a ottobre per il quarto mese consecutivo, portandosi, da una variazione negativa registrata a dicembre 2020, “a una crescita di un’ampiezza che non si registrava da settembre 2012 (quando fu pari a +3,2%)”.

L’Istat precisa che “i beni energetici continuano a essere protagonisti, contribuendo per più di due punti percentuali all’inflazione e spiegando buona parte dell’accelerazione rispetto a settembre”. L’inflazione acquisita per il 2021 è pari a +1,8% per l’indice generale e a +0,8% per la componente di fondo. L’Istat spiega anche che accelerano i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +0,9% a +1,0%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +2,6% a +3,1%). Nel dettaglio, la crescita dei prezzi dei beni alimentari è stabile a +1,0% (+0,3% rispetto a settembre) a causa dei prezzi degli alimentari lavorati (+1,0% come nel mese precedente; -0,1% il congiunturale), mentre i prezzi degli alimentari non lavorati rallentano (da +1,0% a +0,8%; +0,7% su base mensile). Nel mese di ottobre, si stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, registri un aumento dello 0,7% su base mensile e del 3,0% su base annua (da +2,5% del mese precedente), la stima preliminare era +2,9%.

L’ulteriore accelerazione, su base tendenziale, dell’inflazione è in larga parte dovuta, anche nel mese di ottobre, ai prezzi dei beni energetici (da +20,2% di settembre a +24,9%) sia a quelli della componente regolamentata (da +34,3% a +42,3%) sia ai prezzi di quella non regolamentata (da +13,3% a +15,0%). Accelerano rispetto al mese di settembre, ma in misura minore, anche i prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +2,0% a +2,4%). Questi dati dimostrano che la ripresa dei consumi nel mercato interno hanno certamente pesato sulla crescita del Pil (si stima di circa 2 punti percentuali), ma che non è la principale causa dell’inflazione che in gran parte è determinata dall’incremento delle materie prime e dei servizi.

Un quadro compiuto per quanto riguarda il problema dei costi è delineato nel Rapporto del Centro Studi della Confindustria (CSC) sulle prospettive della manifattura. ‘’Lo scenario globale, caratterizzato a partire dagli ultimi mesi del 2020 da forti aspettative sulla ripresa, ha visto manifestarsi enormi aumenti nei prez­zi delle commodity. Le quotazioni in dollari delle materie prime sui mercati internazionali, di fonte Banca mondiale mostrano aumenti fortissimi: ad esempio, per il rame si è registrato un picco di +51% rispet­to a fine 2020, per il ferro di +73%. I rincari sono molto diffusi: riguardano non solo i metalli, ma anche alimentari, cotone, legno, petrolio. Essi incidono molto su imprese e consumatori italiani, perché l’Italia è un paese di trasfor­mazione manifatturiera e i volumi di commodity importate sono elevati. Una questione strettamente collegata ai prezzi delle materie prime – prosegue il CSC – è quella dei trasporti. Il prezzo dei noli marittimi, ovvero l’indicatore principale del co­sto del trasporto internazionale, si è impennato e resta ancora vicino ai picchi raggiunti. L’aumento maggiore dei noli è stato registrato sulla rotta Cina-Stati Uniti (fino a 20mila dollari per container), ma il rincaro è stato enorme anche sulla rotta Cina-Mediterraneo. Il motivo di fondo è la sfavorevole struttura del mercato dei carrier marittimi: i dati mostrano chiaramente che si tratta di un oligopolio su scala mondiale (l’85% del mercato è in mano a tre grandi allean­ze di operatori). A fronte del rimbalzo della domanda da fine 2020 dopo il lock­down, l’offerta non si è adeguata con la necessaria rapidità. Perciò i prezzi si sono impennati. Oltre a questo, data la carenza (e inefficiente dislocazione) di navi e container, l’indicatore di “affidabilità” del trasporto marittimo internazio­nale, definito come “arrivo della nave con il container carico nel porto stabilito entro un giorno di ritardo”, è sceso nel 2021 ad appena il 30%, dall’80% che caratterizzava gli anni pre-pandemia. Indicazioni altrettanto preoccupanti riguardano i tem­pi di consegna di merci, nei principali paesi.

La situazione in Germania è addirittura peggiore nel 2021 rispetto a quella determinatasi con il lockdown del 2020; anche l’Italia è precipitata di nuovo in una situazione analoga. Il rapporto affronta poi un altro tema delicato: quello dei limiti fisici alla crescita. ‘’A fronte di questi crescenti problemi di scarsità, si ripropone oggi la questio­ne dei limiti fisici alla crescita dell’attività economica, che era già emersa con il precedente picco dei prezzi delle commodity nel 2011. Dieci anni fa le preoccupazioni erano concentrate sull’energia e sulle commodity agricole, in particolare quelle alimentari, a fronte della enorme crescita attesa dei consumi pro-capite dei paesi emergenti. Nella situazione attuale, un eventuale limite all’ulteriore crescita è ipotizzabile solo per alcune commodity (per esempio tra i metalli, i semi-conduttori, particolari materiali da costruzione), ma non sembra essere uno scenario che si possa generalizzare.

Un caso particolare è quello delle cd. terre rare, la cui estrazione è concentrata in Cina, mentre il loro utilizzo si sta diffondendo rapidamente per l’impiego nelle nuove tec­nologie. Anche se non si tratta di un vero limite alla crescita, cioè di un tetto imposto ai livelli di attività economica, almeno nel futuro prevedibile, questo scenario di scarsità che oggi si presenta è un oggettivo freno alla ripresa dell’attività di trasformazione’’. Queste situazioni non sono ‘’nate ieri’’.

Nella primavera scorsa rimasi impressionato dai contenuti dell’intervista che Nunzia Penelope fece ad Alessandro Riello su <Il Diario del Lavoro>. Riello, erede di una storica famiglia di imprenditori, è il patron della Aermec, gioiellino italiano di Bevilacqua (Verona) che produce condizionatori esportati in tutto il mondo. Alla domanda relativa agli effetti della pandemia sull’attività dell’azienda (1.700 dipendenti) Riello rispose che avevano attraversato, come tutti, un periodo difficile, ma se la erano cavata. Il 2019 era stato un anno molto buono, per fortuna, e avevano retto anche il 2020. Il 2021 stava andando molto bene; hanno un portafoglio ordini decisamente effervescente. Poteva essere addirittura un anno di grandissima soddisfazione, da record: se non fosse per il problema enorme delle materie prime che non solo avevano costi in salita <ma proprio perché non si trovano sul mercato>. Penelope chiese a questo punto quali fossero le materie prime mancanti: ‘’Guardi, manca tutto – rispose Riello – Mancano perfino carta e cartone. Abbiamo dovuto abbassare la produzione del 40% perché non si trova il cartone per l’imballaggio del prodotto. Abbiamo due linee di produzione che vanno solo al 50% perché non arrivano i ventilatori dalla Germania. Ho ventimila motori fermi – continuò l’imprenditore – perchè mancano i condensatori che devono arrivare dalla Cina. Non troviamo le schede elettroniche necessarie per completare alcuni prodotti, per cui ne usiamo una come ‘muletto’ per provare se un pezzo funziona, poi la smontiamo, la rimontiamo su un altro pezzo, e così via, sperando che arrivi un carico di schede che ci consenta di completare la produzione. Questo ci causa una perdita di efficienza mostruosa’’.

‘’Un quadro terrificante, in effetti’’, commentò Penelope. ‘’E non è finita: non riusciamo a spedire le merci – aggiunse Riello – perché non ci sono navi. Una grossa parte della flotta mondiale è ferma perché si tratta di navi che bruciano carburanti molto inquinanti – e non più a termini di legge – per la maggior parte degli scali portuali. Non parlo nemmeno dei container: non è più nemmeno un problema di prezzi, pure a volerli pagare a peso d’oro non se ne trovano. Sinceramente: faccio l’imprenditore da alcuni decenni, ma non mi sono mai trovato in una situazione del genere’’. Come tirano avanti, allora? ‘’Stringiamo i denti e andiamo avanti, anche grazie alla nostra equipe di collaboratori bravissimi, ma ripeto: se non ci fosse questa situazione, nel 2021 potremmo sfondare il record del fatturato. Purtroppo è una cosa assurda che non riguarda solo noi, ma davvero tutte le imprese. Di certo dovremmo riappropriarci di molte produzioni – puntualizzò Riello – che avevamo delegato ad altri paesi. Prenda la Cina, per dire: ne abbiamo fatto la fabbrica del mondo, adesso mettono i dazi all’export, una cosa inaudita’’. Di questi problemi non si è mai parlato nei talk show. Si vede che non fanno notizia.

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