I mutamenti sociali degli ultimi decenni hanno contribuito a mutare progressivamente la convivenza tra vicini di casa. Il lavoro, lo sport e il tempo libero fanno si che, ognuno di noi, passi sempre meno tempo nella propria abitazione e, soprattutto nei grandi centri urbani, non è scontato che, gli inquilini dello stesso palazzo, si conoscano direttamente. La pandemia da Covid-19, con il suo grande carico di sofferenza unita all’isolamento forzato per prevenire il contagio, sembrava averci fatto ritrovare, anche se solo momentaneamente, l’armonia e il dialogo con coloro che abitano di fianco a noi ma, in molti casi, finita l’emergenza sanitaria e tornati alla vita di sempre, quella che potremo definire “solidarietà di prossimità”, sembra essersi attenuata.
In una società sempre più globalizzata, che ha come costante l’essere sempre più veloci e iperconnessi, è necessario fermarsi per riconsiderare il rapporto con il nostro vicino in chiave più umana. Abbiamo il dovere di tornare ad essere prossimi con tutti gli abitanti della nostra “Casa comune”, iniziando proprio da chi vive nella porta accanto alla nostra. Penso soprattutto ai molti anziani soli: essi rappresentano oltre il 20% della popolazione italiana e, ben 4 milioni, vivono in solitudine. La società civile e l’associazionismo non possono permetterlo, per questo, noi di Acli Colf, siamo da sempre impegnati in diverse forme di prossimità verso coloro che, con i loro sforzi, hanno contribuito a costruire il nostro sistema di welfare come lo conosciamo oggi.
Questo però non basta: la “solidarietà di prossimità” deve essere inculcata nelle giovani generazioni. È necessario iniziare una forma di sensibilizzazione partendo dai bambini affinché instaurino, fin dall’infanzia, un legame positivo con i loro pari vicini di casa, improntandolo sul supporto reciproco e l’empatia. Così facendo, si porranno le basi di una società, italiana ed europea, più solidale, che avrà il suo nucleo fondante nella prossimità di vicinato.