La pace come unica salvezza. “Non abituiamoci alla guerra“, ha esortato ieri papa Francesco. Sergio Mattarella ha rilanciato l’impegno di papa Francesco per una “pace fondata sulla giustizia”. Il Capo dello Stato a Pasqua ha auspicato che l’appello del Pontefice a rifuggire dalla violenza sia accolto dall’umanità intera. Perché la guerra di aggressione è “somma negazione di imprescindibili vincoli di fratellanza“. Dei legami, cioè, sui quali si fonda l’umana convivenza. Ciò semina lutti indicibili. Separa famiglie. Viola l’innocenza dei più piccoli e fragili.
Non c’è pace senza giustizia. E non esiste guerra giusta. Come ribadì Giovanni Paolo II. Quando, alla vigilia della Guerra del Golfo, avvertì il bisogno all’Angelus di portare la sua testimonianza personale. “Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la Seconda guerra mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto questa esperienza. ‘Mai più la guerra!‘. Come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi, preghiera e penitenza!”. Karol Wojtyla non fu ascoltato. Passarono solo quattro giorni, e, nella notte, cominciarono a cadere le prime bombe su Baghdad. La guerra, come si temeva, ebbe esiti disastrosi. L’Iraq sarebbe diventato ufficialmente uno Stato islamico. Ma l’intervento del Papa non fu affatto un insuccesso. Era importante che si fosse sentita la sua voce. Una voce che aveva avuto il coraggio di condannare la guerra proprio mentre la macchina della guerra si metteva in moto. “Prima di ogni prova– raccontò il suo segretario, monsignor Stanislao Dziwisz – non pensava mai al fatto di uscirne sconfitto o no. Non si poneva assolutamente il problema”. Giovanni Paolo II si era preoccupato di difendere la pace. Non voleva che nell’opinione pubblica, nella testa della gente, attecchisse la convinzione circa la ineluttabilità della guerra. Insomma, aveva cercato di fare il suo “dovere” di fronte a Dio, di fronte alla Chiesa, agli uomini. E lo aveva fatto da uomo libero. Senza farsi assolutamente condizionare né da “destra” né da “sinistra”. Né dall’Occidente né dall’Oriente. E riuscendo così, con la sua autorità morale, con la sua credibilità, a tener fuori dal conflitto in Iraq i rapporti tra cristianesimo e islam. E ad evitare anche una “guerra santa”. Ieri papa Francesco ha scandito in piazza San Pietro: “Non abituiamoci alla guerra, si scelga la pace. È una Quaresima che sembra non voler finire. Abbiamo alle spalle due anni di pandemia, che hanno lasciato segni pesanti. Era il momento di uscire insieme dal tunnel. Mano nella mano. Mettendo insieme le forze e le risorse. E invece stiamo dimostrando che in noi c’è ancora lo spirito di Caino. Che guarda Abele non come un fratello. Ma come un rivale. E pensa a come eliminarlo”.