Ogni equilibrio che ha regolato il rapporto tra poteri pubblici e privati, tanto a livello nazionale quanto internazionale, sta crollando. La finanza e le big tech, un tempo influenti ma distinte dal potere politico, oggi penetrano direttamente nei governi, influenzando decisioni, regolamenti e persino la stabilità delle istituzioni. Il confine tra pubblico e privato si è assottigliato al punto che gli Stati, invece di guidare i processi economici e tecnologici, ne diventano sempre più dipendenti.
A livello globale, le convenzioni internazionali vengono svuotate di significato e aggirate, mentre le istituzioni che dovrebbero garantirle – dall’ONU alle organizzazioni multilaterali – mostrano una crescente impotenza. La legge del più forte torna a prevalere nei rapporti tra le nazioni, mentre nuove minacce – monete digitali fuori controllo, eserciti privati, mafie che governano intere economie parallele – impongono una riflessione urgente sull’ordine mondiale e locale.
In questa crisi del diritto e delle istituzioni, la politica ha due strade davanti a sé. La prima è la deriva populista, che alimenta sfiducia e paure collettive senza offrire soluzioni reali. Spesso, è essa stessa strumentalizzata dai poteri economici e autocratici che fingono di combatterla, usandola invece per indebolire definitivamente la democrazia.
La seconda strada è quella di una strategia di lungo termine, basata su nuove regole, nuovi equilibri e un rinnovato patto tra politica, società e mercato. Questo percorso richiede una classe dirigente capace di visione, in grado di ricostruire un orizzonte di senso e di riconquistare la fiducia pubblica attraverso proposte concrete e strutturali. Serve ripensare gli spazi di partecipazione, tanto nei partiti quanto attraverso forme di sussidiarietà che consentano ai cittadini di contribuire direttamente alla gestione del welfare e dei servizi essenziali.
L’Europa e l’Italia si trovano in un passaggio cruciale. Per non essere travolte da questa deriva, devono colmare il divario tra istituzioni e cittadini. Ciò significa ristabilire l’equilibrio democratico, rafforzare lo stato di diritto e riaffermare il ruolo autonomo delle istituzioni rispetto ai partiti, che a loro volta devono garantire un reale rinnovamento delle classi dirigenti. La solidità delle istituzioni dipende dal coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni e dalla capacità di leader autorevoli di affrontare con coraggio anche le sfide più difficili, amministrando le risorse pubbliche in modo efficiente e lungimirante. L’Europa, tuttavia, resta un progetto incompiuto, privo di una classe dirigente all’altezza delle sfide attuali.
L’Italia, in particolare, è più esposta di altri Paesi al rischio di destabilizzazione politica, ostaggio di un bipolarismo in cui si rafforzano forze anti-europee, filo-autocratiche e illiberali. Un Paese attraversato da troppi “cavalli di Troia” che minano la politica, il tessuto sociale, l’informazione e persino le istituzioni. Dovrebbe ricostruire un rapporto con solide basi con i cittadini. Oggi è frammentata, dispersa in mille rivoli, incapace di esercitare un’influenza reale. Eppure, se vuole essere all’altezza del proprio ruolo storico, deve ritrovare coesione e incisività. L’Europa ha bisogno di una leadership che non si limiti a reagire al caos, ma che sappia costruire un nuovo ordine democratico. Non c’è più spazio per ambiguità o neutralità: servono scelte chiare, alleanze strategiche e una netta distinzione tra chi difende lo stato di diritto e chi lo minaccia.