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Il paradosso della vita

Lachaim (alla vita!) è il brindisi che da secoli si scambiano gli ebrei ad ogni festa e che equivale al nostro “salute!”, un modo per celebrare un bene che da sempre la Sacra Scrittura, anche nei suoi testi più pessimisti come il Qohelet o Giobbe, considera come una ricompensa di cui si deve trarre beneficio senza rimorsi. Segno concreto della gratuità della creazione, che riempie l’universo delle infinite forme dei viventi e di cui dobbiamo osservarne la bellezza, l’originalità, anche quando si esprime nei modi del dolore, della fatica, dell’insignificanza, dell’emarginazione. Non si tratta certo – questa è una importante lezione che ci ha lasciato Madre Teresa – di amare la vita sofferente, la vita morente, ma di amare la vita malgrado la sofferenza, malgrado la fatica, malgrado l’emarginazione.

La 39° Giornata nazionale per la vita (5 febbraio 2017) ha preso come guida questa Santa straordinaria dei nostri giorni, per ricordare a tutti noi che sono i due estremi della parabola vitale –i bambini e gli anziani – a rappresentare la densità esistenziale del nostro stare al mondo con la semplicità e la sapienza che li caratterizzano.

Come è capitato ad altre parole, anche il nome antico della vita, estenuata e svilita in tanti rivoli ideologici, sparsi sul terreno fragile della retorica politica, dei proclami delle nuove scienze ecologiche, continua ad evidenziare il suo ambiguo utilizzo, quasi a nascondere interessi di parte, strumentalizzazioni economiche su larga scala, imprese ideologiche, volte a considerare la vita un bene di profitto da governare, da indirizzare, da amministrare, ad esempio, attraverso le nano-tecnologie, la biologia molecolare, l’ingegneria genetica.

Questa Giornata, però, non ci guida ai grandi problemi scientifici e bioetici che attraversano i confusi scenari valoriali del nostro tempo, ma ci orienta in modo sorprendente a considerare anche la semplice realtà del sogno, che la Sacra Scrittura ha sempre indicato come la via piccola e certa per giungere alla verità degli eventi. Il sogno, dimensione spirituale che appartiene ad ogni uomo, diventa nei bimbi e negli anziani la cifra dell’invisibile che ci avvolge e che può orientarsi nel vivere.

Un pensiero per i tanti anziani che vivono in mezzo a noi: essi sono coloro che realizzano gradualmente una umanità “diversa” da quella affaccendata intorno agli strumenti di lavoro e intorno alla lotta per strappare alla natura e alla storia il sostegno biologico e culturale dell’esistenza. Se può vantare una vita ben vissuta, il senescente può davvero destinare la densità del suo tempo nuovo, per coltivare la qualità delle relazioni umane dentro e fuori la famiglia. Avendo già provato la fatica della trasformazione del mondo, può testimoniare che tale fine non è il fine ultimo. L’ultimo fine è infatti la fruizione e non il consumo del mondo. Di questo tutti abbiamo un estremo bisogno e siamo grati al loro modo di vivere la vita, colta come accettazione della dipendenza creaturale, là dove ci si alimenta della gratuità, del dono e della fiducia.

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