L’alibi per il delitto perfetto è sempre quello: la governabilità. Come se fosse un dogma dal quale discende tutto e non fosse, in realtà, il minimo comune denominatore di qualsivoglia legge elettorale. Dalle urne, in un sistema normale, dovrebbe poter uscire un governo e una maggioranza che siano espressione del Paese. Quasi banale. Da noi, invece, la banalità assume i contorni della straordinarietà e il mancato accordo sulla legge elettorale diventa la scusa per tirare a campare, uccidendo il dettato costituzionale e le indicazioni della Consulta. In fondo arrivare sino alla dead line della pensione, al momento, piace un po’ a tutti.
Ma andando oltre le ragioni da basso impero, il tratto politico è sufficientemente chiaro. A sinistra regna sovrana confusione e lo stesso ex premier, Matteo Renzi, sembra aver capito che spostare in avanti le lancette delle urne potrebbe essere un mantra salvifico. “Se la legge elettorale aiutasse non soltanto a fotografare il Paese con il proporzionale puro, ma a consentirne una governabilità, sarebbe un passo in avanti molto significativo. Il Pd sta su questa posizione qui, tutto insieme”, ha sottolineato durante un incontro con Romano Prodi a Bologna.
“E’ chiaro che da soli non abbiamo i numeri quindi di conseguenza molto dipenderà da quello che vorranno fare anche gli altri”, ha ammesso il segretario dem, “ma il nostro obiettivo è quello di consentire un sistema che permetta la governabilità”. Ecco, appunto l’alibi perfetto per tirare a campare. Allo stato attuale non esiste formula in grado di assicurare la vittoria al centrosinistra con annessa sconfitta dei grillini. I numeri, perfettamente aderenti alla visione collettiva che gli italiani hanno della politica, parlano la lingua di Beppe Grillo e non il toscano.
Nel centrodestra, poi, il lodo Silvio Berlusconi blocca tutto. Il leader di Forza Italia guarda solo a Strasburgo, luogo dal quale potrebbe arrivare la sua riabilitazione politica, in modo tale da poter essere nuovamente candidabile. Nell’area grillina, invece, il tema è come tenere alta la tensione del Movimento e l’attenzione dell’elettorato. Insomma, il tema non è la legge elettorale in se ma lo schema per affrontare la campagna elettorale permanente. “L’Italia è un Paese stabile, penso che andrà alle elezioni al momento previsto”, ha sottolineato Prodi nel corso dello stesso incontro bolognese, tratteggiando il futuro prossimo venturo, “il problema è se prima di quel momento si possa fare una legge elettorale che sia stabile, una legge elettorale non è fatta per fare una fotografia, ma per dare un governo stabile, mi auguro venga fatta.Con una legge proporzionale e molti partiti il problema si apre dopo”. Che è il vero punto di caduta dell’intera questione.
In assenza di un quadro certo, rischiamo di andare alle urne per uscire più incerti di prima, aprendo la strada ad una declinazione casereccia, se non addirittura posticcia, della grande coalizione che governa molti Paesi del nord Europa. Solo che noi non abbiamo quella costituzione fisica, essendo dotati di una struttura ancora incerta e malferma. Basata su gli alibi e non sulle certezze.
Modesto avviso ai naviganti. Quanto avvenuto in Francia e in Germania, un voto parziale ma altamente indicativo, non è un segnale da leggere in modo asettico, ma processi di sintesi del vento che soffia sull’Europa. E un vento che non vuole alibi ma fatti certi, concreti. Forse sarebbe il momento d’iniziare a fare sul serio.