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Il malessere del medico

“Fare” il medico è profondamente diverso dall’”esserlo”. Chi ha per anni esercitato con autentica dedizione per il benessere del prossimo, infatti, finisce per ‘essere’ parte di ciò che ha scelto consapevolmente, non un semplice professionista. Molti medici – migliaia – non hanno sabato o domenica, non hanno notti per dormire, né giorni per ammalarsi; spesso, se donne, hanno rinunciato a sposarsi, impigliate tra turni e precariato.

Eppure, a fronte di tanti sacrifici, il rispetto della professione è messo seriamente a rischio. Il medico, infatti, deve combattere ogni giorno contro lo scoraggiamento e la stanchezza, il malaffare organizzativo e l’incapacità di altri nella gestione delle risorse: viene persino costretto a chiedere strumenti indispensabili, come una culla termica per il trasporto di neonati in ambulanza, o la pulizia idonea a un ambulatorio pubblico.

Oggi poi tutti, internet alla mano, ritengono di sapere e potersi curare da soli, salvo poi chiedere soluzioni al dottore vero quando è troppo tardi, addossando a quest’ultimo eventuali colpe e risarcimento di danni.

In questo corto circuito s’innesta anche il problema del ‘dottore’ in farmacia, ritenuto più autorevole, che può dare l’antibiotico senza ricetta o consigliarlo: non ha responsabilità penali, non scrive nulla e non omette…

Il malessere s’aggrava se parliamo dei criteri con cui i medici vengono incaricati di un servizio dalle Asl della Regione Lazio, che nei suoi avvisi pubblici si basa su tre principi: 1.età “al conseguimento della laurea”; 2.voto di laurea; 3.anzianità di laurea. Insomma, chi prima arriva prende il posto, a prescindere dal merito.

L’età “al conseguimento della laurea” è un criterio ingiustificabile, di ‘privilegio’ per quanti hanno avuto possibilità economiche, di salute e di ‘fortuna’ e nulla hanno a che fare con la preparazione di un medico.

La discriminazione evidente sull’esistenza dell’individuo è ingerenza e giudizio sulla sua vita, sulla sua libertà e opportunità di scelta. Tale criterio, inoltre, non contempla handicap, malattia, eventi e calamità, periodi di lavoro per sopravvivere (studenti lavoratori, ad esempio), privilegia non il genio (raro!), ma il ‘fortunato’ secondo la mentalità tipicamente italiana imposta in ambiti particolari e regionali, in cui alcuni devono sistemare dinastie familiari o indurre a ben altro per arrivare prima.

Ne consegue una svalutazione evidente del ‘voto di laurea’. Di più: impostando così la cosa, intere generazioni vanno a finire nella spazzatura per far posto a quelle successive, sull’esempio dei rampanti della politica.

Esperienza umana, studio seriamente inteso non servono: la sanità, in mano ai soliti gestori strapagati, azzera risorse umane ed economiche e promuove gli stessi dirigenti degli ‘scacchi territoriali’ a maggior profitto e onori…

In molti si lamentano del proprio medico senza considerarne il compenso: meno di tre euro mensili a paziente per i medici di base! Nonostante si invochino protocolli e necessari periodi retribuiti di malattia o d’aggiornamento, tutti sono considerati ‘indistintamente’ parte di una organizzazione malata nella gestione, per incompetenza di burocrati decisi politicamente.

Riflettiamo invece di prendercela con chi ci soccorre e potrebbe anche ‘umanamente’ sbagliare pur se preparato: è ‘solo figlio di Dio’ come noi, non l’Onnipotente. Cominciamo a rispettare il suo lavoro e la sua dignità, chiedendoci chi crea tanto malessere, anche mediatico, scaricando sulla figura del medico responsabilità e aspettative di ‘perfezione’, mentre altri, ben al di sopra di quel povero Cristo, potrebbero fare il loro dovere e non lo fanno.

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