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Il lavoro è ancora fondamento della nostra Repubblica?

Che l’Italia non sia un Paese per giovani lo testimonia anche il tasso impietoso di disoccupazione giovanile che, secondo le ultime rilevazioni Istat, ha superato a dicembre scorso il 40%. In Europa, ove la media dei giovani disoccupati è del 22%, riescono a fare peggio di noi solo la Spagna e la Grecia .

É lecito chiedersi se il lavoro può ancora essere considerato il fondamento della nostra Repubblica, come enfaticamente recita l’articolo 1 della Costituzione o piuttosto un privilegio per pochi. Ovviamente non si ha la pretesa che l’occupazione  possa essere creata con disposizioni di legge, tuttavia queste possono favorire e stimolare le condizioni più idonee alla creazione di opportunità lavorative, non soltanto come “strumenti” utili a garantire il benessere economico, ma anche come mezzi attraverso cui ogni cittadino può affermare la propria personalità e garantire il funzionamento dell’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

D’altra parte, il diritto al lavoro, che comprende non solo il lavoro subordinato ma anche l’esercizio di una libera professione ed ogni forma di lavoro autonomo, trova piena tutela, oltre che a livello costituzionale, anche sovranazionale ed in particolare nell’articolo 15 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, tra le altre cose, garantisce la libera circolazione dei lavoratori sul territorio dell’Unione ed al contempo equipara i cittadini europei a quelli dei Paesi terzi autorizzati a lavorare negli Stati membri. Ciò significa che il lavoro, in una rinnovata visione storica, economica e sociale, non esaurisce la propria funzione nell’attività economico–produttiva, né tantomeno nel dovere di solidarietà di ogni cittadino per contribuire al progresso della collettività, ma costituisce anche uno dei principali elementi di inserimento sociale ed economico degli immigrati, posto che bisogna prendere definitivamente atto e concretamente governare il consistente flusso migratorio causa di profonde ripercussioni sul nostro Paese, perquanto non tutte necessariamente negative.

La cosiddetta “imprenditoria immigrata”, per esempio, rappresenta da tempo una quota rilevante del mercato del lavoro con circa 350mila imprese (pari all’11% di tutte quelle operanti nel nostro Paese in forma individuale) che, direttamente o indirettamente, contribuiscono al pagamento delle pensioni di oltre 600mila italiani. 

É dunque auspicabile che la tutela del lavoro e con esso dell’iniziativa economica privata, valori certamente non antagonisti ma complementari, tornino a condizionare le politiche economiche e non viceversa. Soltanto così si potrà superare la deriva anacronistica dell’articolo 1 della Costituzione che nelle liturgie celebrative è sempre più percepito come una mera e vana formula di matrice ideologica.

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