Papa Francesco apre domani la Porta Santa e inaugura il Giubileo ordinario in continuità con quello straordinario sulla misericordia. Un appello a “recuperare il senso di fraternità universale”. E a non “chiudere gli occhi davanti al dramma della povertà dilagante che impedisce a milioni di uomini, donne, giovani e bambini di vivere in maniera degna di esseri umani”. Il Papa testimonia che il kerygma è una persona: Gesù Cristo. Il cuore del mistero è il kerygma, fulcro del Vangelo e centro dell’azione evangelizzatrice. “Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”, scrive Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Con il Giubileo Francesco vuole accompagnare e accogliere l’uomo concreto con le sue ferite e contraddizioni e non farne un’astrazione. Dal Giubileo della misericordia del 2016 all’Anno Santo dedicato ai “pellegrini di speranza”. E’ questo il senso ultimo della predicazione di Francesco che ci esorta con il suo magistero della condivisione a porci le questioni fondamentali della dottrina su Dio. Cioè il nucleo e la somma della rivelazione biblica. Prima dei princìpi, insomma, viene il kerygma, l’annuncio che il Vangelo è amore, accoglienza verso tutti. L’immagine di Chiesa che Francesco preferisce è quella espressa dal Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium, del santo popolo fedele di Dio. “Sentire cum Ecclesia per me è essere in questo popolo– afferma Jorge Mario Bergoglio-. L’insieme dei fedeli è infallibile nel credere. E manifesta questa sua ‘infallibilitas in credendo‘ mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina”. Non bisogna, dunque, neanche pensare che la comprensione del “sentire con la Chiesa” sia legata solamente al sentire con la sua parte gerarchica. Per Francesco riguarda tutta la Chiesa, popolo e pastori.
Jorge Mario Bergoglio non riduce la Chiesa a “una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate”. Il papa sogna una Chiesa Madre e Pastora. Perché “non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità“. E’ la strategia di sant’Ignazio di Loyola. “Francesco ha ricomposto una disputa millenaria”, ha scritto filosofo Massimo Cacciari concordando con quanto sostenuto dal cardinale domenicano Christoph Schönborn. Il suo pontificato non implica il “mettersi d’accordo fingendo di ignorare le differenze”. Anzi presuppone “il riconoscimento, da sempre praticato dai Gesuiti, della complessità civile ed etica del contesto mondano, con la necessità di accompagnarlo nelle sue valutazioni”. E “ciò non significa cedere ai princìpi e ai comportamenti mondani, bensì riconoscere la realtà e muoversi al suo interno per cambiarla“, sottolinea il filosofo. La Chiesa di Francesco, secondo Cacciari, non si confonde con l’etica mondana ma si colloca al suo interno per influenzarla da dentro. La linea di Jorge Mario Bergoglio è “chiaramente la stessa applicata sempre e ovunque dai Gesuiti. In Sud America, Cina, India”. Nei secoli questa impostazione è stata politicamente avversata non solo dai reazionari ma anche dai radicali come Giansenio e Pascal, per i quali il Vangelo deve essere una spada nel mondo e il discorso cristiano deve essere netto: o sì o no. Francesco è “coerentemente un gesuita, nella sua accezione più nobile“.
Quella di Jorge Mario Bergoglio, a giudizio del filosofo, è una linea che nella storia ecclesiastica ha conosciuto radicali opposizioni. È un dissidio fondamentale che non si potrà evolvere. Non è un patteggiamento intermedio. Come hanno dimostrato i sinodi sulla famiglia, Francesco comprende la situazione etica del mondo contemporaneo ma si mette dentro, non la combatte come avversario dall’esterno. “È sempre stato l’approccio dei Gesuiti, in ogni epoca e nazione”, osserva Cacciari. A ciascuna apertura nella storia della Chiesa corrispondono le posizioni di ostilità dei reazionari che, non condividendo le presa d’atto delle trasformazioni etiche e comportamentali dell’epoca, accusano gli innovatori di cedimento, di resa al mondo moderno. In realtà il modello di Francesco è la comprensione ignaziana della contemporaneità. Non è tatticismo politico ma viene dalla grande mistica umanistica. Sant’Ignazio, ricorda Cacciari, si rapportava alla lezione di Erasmo da Rotterdam e venerava san Francesco.
“Jorge Mario Bergoglio non ha scelto il nome del santo di Assisi per arruffianarsi il moderno ecologismo- riflette il filosofo-. Basta conoscere un po’ di storia. Il metodo seguito dal papa gesuita, infatti, consiste nello sciogliere piano piano tutti i nodi, lentamente, in una prospettiva di lungo termine. La riforma della Chiesa terminerà solo con la fine dei tempi, alla conclusione della storia. Francesco fa muovere la Chiesa su questa prospettiva. La pazienza è virtù raccomandata dai padri della Chiesa, insieme con un’obbedienza non passiva e servile, bensì consapevole che la Chiesa ha tutto il tempo per formare i fedeli all’ascolto. Si può giudicare il pontificato solo da questa prospettiva”. Significativamente per il Giubileo il Papa ha scelto il motto “pellegrini di speranza” perché “dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata”. E “fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante“. Nella visione di Francesco il Giubileo “potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia”. Come “segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza”.