E ora che l’emozione e la commozione hanno esaurito il loro compito, giusto e doveroso di fronte alla morte, è il momento della razionalizzazione. Esercizio, quest’ultimo, oggettivamente più difficile ma necessario per inquadrare nell’attuale contesto politico il fenomeno Cinque Stelle, privo del suo visionario ideologo. Da oggi il Movimento sarà la stessa cosa o cambierà pelle? Siamo di fronte ad una mutazione genetica o ad un normale riallineamento? La sensazione è che, d’ora in poi, nulla sarà più come prima.
Certo, restano i click, i blog, le consultazioni via Internet, ma sono, e saranno, solo i tic, riflessi condizionati di un passato destinato a diventare tale. E’ del tutto evidente che il Movimento si farà partito, forse non nel senso letterale del termine, ma con le inevitabili ripercussioni sull’attività politica che questo cambio di pelle porta con sé. Le correnti ci sono già, cosi come le simpatie e le antipatie. Tanto che Grillo e i direttorio dovranno necessariamente mettere in contro altre fughe verso il Pd. Fatale conseguenza della ricerca del posto per la permanenza in Parlamento.
Chiunque sarà il prossimo leader del Movimento in movimento, Di Maio più che Di Battista, forse Fico con la variante Raggi, si troverà a dover gestire la partita delle amministrative prima e del referendum sulle riforme costituzionali poi. E non sarà affatto facile. Anzi, queste due prove saranno la cartina di tornasole per capire se i 5 Stelle sono attrezzati per il futuro o se sono destinati ad entrare inevitabilmente in quel cono d’ombra che porta alla dissoluzione. Com’è già avvenuto in passato come una miriade di esperienze politiche.
Dunque il problema non è il leader, ma la linea, il percorso che intendono seguire i grillini. Che potranno sempre contare su Beppe Grillo, ma solo per mantenere alta la quotazione del brand 5 Stelle e non certo per impostare l’azione politica. Il dato oggettivo è che ci troviamo in una fase di tripolarismo politico (Pd, 5 Stelle e centrodestra, anche se quest’ultimo assomiglia davvero a polvere di stelle più dei grillini) e per il Movimento, orfano di un personaggio tanto oscuro per l’immaginario collettivo quanto illuminante per gli esponenti pentastellati, questa è l’occasione per dimostrare se la loro presenza nelle aule di Camera e Senato è solo una congiunzione astrale o un destino.
La sensazione è che i leader in pectore del Movimento non abbiano ancora compreso la valenza di questo elemento, essendo rimasti ancorati alla logica dell’antipolitica, illogica interpretazione di una legittima aspirazione, e procedano a vista. Le prossime amministrative saranno un test fondamentale per tutti, anche per chi sostiene l’esatto contrario. “Non si molla di un centimetro. C’è un Paese che aspetta giustizia e legalità”, scrive su Facebook il deputato 5 Stelle Alessandro Di Battista che annuncia: “Io sono a Milano ma parto subito per Siena. Perché i risparmiatori vanno salvati, il risparmio garantito e le banche non possono dettare legge”. “Stiamo andando bene, siamo un’alternativa al governo di Trivellopoli” conclude.
Che il Paese abbia una certa (certa, non assoluta) voglia di giustizia e legalità è anche vero. Ma siamo altrettanto certi che i 5 stelle stiando andando bene, come sostiene Di Battista? E che vuol dire andare bene? Oggi, e per questo basta annusare l’aria, il Paese ha bisogno di certezze più che di indicazioni di massima. Ecco perché serve uno scarto di lato da parte del Movimento, per il bene delle regole del gioco, più che per la politica in senso stretto. Modesto dettaglio. In una chiacchierata con l’inviato de La Stampa durante la missione in Iran il presidente del Consiglio ha affermato di “godere quando ci sono le elezioni”. Esattamente come diceva Berlusconi ai tempi d’oro. Le uscite pubbliche di Napoli e Verona, con annesse contestazioni, sono un indicatore del nuovo corso renziano. Per il Movimento 5 stelle è arrivato davvero il momento di decidere cosa vuol fare da grande. Slogan e click non bastano più, il gioco della politica è un’altra cosa.