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Il dovere di ascoltare

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Il progetto “La buona scuola” è un’occasione straordinaria, perché non ci sono precedenti di un presidente del Consiglio che abbia reso centrale nei suoi interventi il tema dell’istruzione, e questo aiuta a far scorgere all’opinione pubblica il nesso che corre tra l’insegnamento e il futuro del Paese. Detto ciò, ritengo che occorra riflettere su una serie di modifiche sostanziali, perché la scuola della nostra Costituzione ha tre principi cardini: 1. è una comunità educante; 2. è un’opportunità per tutti dove la differenza la fa il merito e non il censo; 3. includendo non lascia indietro nessuno.

Ricordo l’approvazione di un testo del 1954 che si intitolava “La missione della scuola”. Nell’introduzione era presentato il contratto di un preside di un liceo americano, che nel punto centrale diceva: “Se volete insegnare nella mia scuola, non serve che voi fate apprendere le competenze o i saperi. Vengo da una storia dove ho visto medici competenti fare esperimenti sull’uomo, chimici competenti trovare l’acido cianidrico per farci morire prima, infermieri gentili che accompagnavano le persone nelle camere a gas. Voi docenti dovete comprendere che non basta trasmettere le competenze o i saperi: bisogna formare uomini e donne dandogli i valori di cui l’umanità ha bisogno. Ho visto troppi mostri competenti e pieni di sapere”. Da questo ultimo punto si comprende il senso della scuola come comunità educante, si comprende il senso del merito e si comprende una scuola come inclusione; questa è la scuola della Costituzione.

Ora dobbiamo trovare un giusto equilibrio, perché in una comunità educante il preside non sia un passa carte, perché nella scuola dell’autonomia, quest’ultima sia quella della comunità educante, non solo quella del preside. L’importante è che a nessuno venga in mente di fare una scuola-azienda, dove c’è il capo che sceglie i propri dirigenti, promuove i propri dipendenti e trova i propri azionisti. Abbiamo visto che la comunità educante diventa un’azienda nel momento in cui si sceglie solo lo studente bravo tralasciando lo studente non bravo; oltre al saper fare, bisogna saper apprendere, capire, vivere.

È per questo che Dante, la Divina Commedia e le poesie servono anche a chi deve saper fare: perché non è l’approdo del lavoro finale che determina il quantum di umanità di essere uomo o essere donna. La buona scuola quindi è un’occasione da non sciupare, per non abbandonarci a una scuola alla buona. Va bene il principio di valutazione; personalmente spenderei tanti soldi per l’aggiornamento e la riqualificazione professionale; con 500 euro si hanno appena delle buone pratiche e non quelle riqualificazioni professionali di cui i nostri docenti hanno bisogno, per farlo bisognerebbe investire un miliardo, tornare all’università con master di riqualificazione, facendogli prendere un periodo sabbatico, valutare questo periodo con un esame finale e, una volta tornati, ritrovarsi con una professione di carriera per merito senza rischiare di essere scelti per lecchinaggio perché non c’è una griglia di valutazione seria.

Io ho condiviso di Renzi l’idea che bisogna ascoltare ma poi il governo deve prendere la responsabilità di decidere. La scuola è una realtà complessa che ha retto a pessimi governi e a pessimi ministri dell’istruzione (l’ho potuto fare persino io); ha resistito grazie alla passione e alla dedizione che la stragrande maggioranza del corpo docente ci mette. È questa passione e volontà che ha salvato la scuola italiana, che la rende una “buona scuola” a prescindere, dando loro la titolarità di poter parlare e al governo e al Parlamento il dovere di ascoltare.

Qua non si tratta di rivendicazioni sindacali per sistemare il furbo di turno che pensa di aggirare le graduatorie; un mare di gente ha partecipato a concorsi fatti a iosa, e lo Stato ha fatto fare loro percorsi che rasentano il sadomasochismo. Sono arrivati a 50 anni senza avere certezze, ma hanno continuato ad insegnare. Il loro è un urlo, come quello di Munch; un insieme di dolore e speranza, angoscia e ricerca della risurrezione. È quindi un’opportunità che ci viene data, e non può essere liquidata come “chi sciopera frena”; da anni – sbagliando – si divide il mondo tra buoni e cattivi. Oggi siamo arrivati a dividere gli insegnanti in cattivi e cattivissimi, squadristi e ignavi, senza rendercene conto.

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