Vladimir Putin, nel rispetto di ogni pronostico, ha appena ricevuto la ormai canonica investitura per il suo quarto mandato da Presidente della Federazione Russa. Escluso l’interregno targato Dmitrij Medvedev (in carica dal 2008 al 2012), Putin occupa lo scranno più alto del Cremlino dal 2000, anno in cui successe ad un dimissionario ed ormai logoro Boris Eltsin. Come previsto non c’è stata partita per nessuno dei suoi avversari politici, tutti già sostanzialmente preparati a dover competere per il ruolo di “secondo”.
I numeri non lasciano spazio ad ulteriori dubbi: il Presidente uscente è stato confermato in carica col 76,63% dei voti, un record assoluto nella storia delle presidenziali russe, in metto miglioramento rispetto ai dati del 2012, che lo vedevano vincente con “solo” il 63%. Al Partito Comunista di Pavel Grudinin il secondo posto con l’11%, mentre i restanti concorrenti d’opposizione non hanno potuto fare altro che spartirsi le briciole, con l’eccentrico Žirinovskij confermatosi intorno al 6% ed i candidati più lontani dal Putin-pensiero come il liberale Javlinskij e la “star” Ksenija Sobčak (figlia dell’ex sindaco di San Pietroburgo, Anatolij Sobčak, figura decisiva per un Putin agli albori della sua carriera politica) sonoramente bocciati con quote che si aggirano intorno all’1%. L’affluenza (attestatasi intorno al 67%) si è rivelata in aumento rispetto alla scorsa tornata elettorale. Putin è riuscito, così, ad ottenere due obiettivi cruciali: sfondare la quota 70% e scongiurare l’astensionismo tanto invocato da Aleksej Naval’nyj, blogger divenuto noto in Russia per la sue inchieste contro la corruzione, più volte erroneamente indicato come possibile “antagonista” di Putin, ma mai investito, fino a prova contraria, di un consenso duraturo ed effettivo da parte della popolazione che, a quanto pare, ha preferito nettamente proseguire lungo il corso tracciato negli ultimi sei anni.
I festeggiamenti dei sostenitori del Presidente sulla Piazza Rossa non sono tardati ad arrivare nel momento dello spoglio. Nell’anno delle Olimpiadi invernali e dei Mondiali di calcio, Putin non si è trattenuto dall’usare espressioni mutuate dal mondo dello sport: le parole che hanno inaugurato questo quarto mandato hanno fatto tutte riferimento al concetto di coesione nazionale davanti alle sfide future, di “squadra nazionale”, mentre la folla ha sventolato i classici tricolori e sfoggiato i nastri di San Giorgio arancio-neri. Nessun accenno simbolico a Russia Unita, il partito che ha appoggiato Putin fino a quest’ultime elezioni, dove lo stesso ha deciso di candidarsi da indipendente ed essere appoggiato soltanto da organizzazioni civiche strettamente territoriali. Sullo sfondo più nessun orso stilizzato, ma soltanto delle sgargianti scritte recitanti lo slogan “Za sil’nuju Rossiju!”, ovvero “Per una Russia forte!”. La scarsa popolarità di cui godono gli apparati di partito presso la popolazione avrebbe spinto Putin a scegliere di correre autonomamente presentandosi, nei simboli e nei gesti, come una figura indipendente, vicina alle istanze popolari di cui si propone come un fedele garante: “sono solo un membro della vostra squadra nazionale, il successo ci attende!” ha affermato dal palco allestito sotto le torri del Cremlino.
La politica estera condotta dalla Federazione Russa negli ultimi sei anni ha certamente aiutato Putin nel consolidare il suo consenso: a dispetto di un’economia ancora precaria e troppo legata alle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime, i russi sembrano aver pienamente riconosciuto in Putin quel vožd’, ossia quel “condottiero” che ha risollevato il prestigio internazionale di un Paese umiliato dalla dissoluzione dell’Urss e dalle ristrettezze economiche e sociali degli anni ’90. La pragmaticità con la quale è stata affrontata la crisi ucraina, lo sfarzo delle olimpiadi di Soči, la riunificazione con la penisola crimeana (dove Putin ha sfondato raggiungendo il 91% dei consensi), le partite diplomatiche giocate con risolutezza e decisione contro Ue e Stati Uniti, l’intervento in Siria e, ultimi ma non ultimi, i Mondiali di calcio hanno rinfrancato il sentimento nazionale russo da troppo sopito. I prossimi sei anni ci diranno fino a che punto questa strategia potrà ancora funzionare, dal momento che non si vive di sola politica estera: diversificare le dinamiche dell’economia nazionale, rafforzare la propria politica energetica nei confronti di Europa ed Asia, aumentare la soglia minima dei salari e delle pensioni, nonché designare un erede credibile che possa proseguire lungo la traiettoria strategica già impostata saranno le reali e decisive sfide dello “Zar” per quello che si è già affrettato a definire il suo ultimo mandato.
Giannicola Saldutti – ricercatore associato presso l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG)