Poteva essere un ciclone e non lo è stato. La realpolitik, a volte, produce questi strani effetti. Tanto che del Juncker l’italiano ha fatto più rumore l’intervista concessa Fabio Fazio su Rai Uno, a Che tempo che fa, di quanto scaturito dagli incontri con il premier, Giuseppe Conte, e il Capo dello Stato, Sergio Mattatella. Sia chiaro il low profile del presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, non è figlio dei buoni conti mostrati dall’Italia, non siamo diventati improvvisamente affidabili e buoni, ma è dettato dall’agenda europea. Se fino a ieri, per quanto paradossale, è stata la Germania della Merkel a farci da scudo, o meglio da spalla, oggi i tormenti del Regno Unito sono il nostro jolly. L’annosa questione della Brexit e l’avvitamento su se stessa della premier britannica, Theresa May, rappresentano per l’Italia l’occasione giusta per uscire dall’occhio del ciclone e mettersi sulla corsia di emergenza in attesa degli eventi.
Lo stesso Juncker, in una lettera inviata a Tajani, dopo aver ricordato che il voto britannico sulla Brexit non ha fatto che rafforzare il suo convincimento sulla migliore via da seguire, ovvero la ratifica dell'accordo di ritiro del Regno Unito dall'Unione europea già approvata dal governo britannico e sostenuta dal Consiglio e dal Pe, ha sottolineato la necessità di prendere in considerazione la dichiarazione del primo ministro May, in merito all'ipotesi di concedere ancora qualche giorno alla Gran Bretagna. Secondo Juncker se gli inglesi fossero in grado d'approvare ufficialmente tale accordo con una maggioranza congrua entro il 12 aprile, l'Unione europea dovrebbe accettare una proroga sino al 22 maggio. Qualora la Camera dei Comuni non si pronunci entro il 12, però, nessuna proroga – né breve né lunga – sarà possibile, a rischio di mettere in pericolo il corretto svolgimento delle elezioni europee e il funzionamento dell'Unione.
Per decifrare il vero risultato della missione italiana del presidente della Commissione non si può non tener presente questo elemento. Bacchettare ancora l’Italia, oltre il lecito, sarebbe stato un danno per tutta la comunità europea. E così Juncker si è limitato a pizzicare la guancia a Conte, affermando di essere leggermente “preoccupato per il fatto di vedere che l'economia italiana continua a regredire e auspico che le autorità italiane facciano sforzi supplementari per mantenere in vita la crescita italiana”. La risposta di Conte è immediata: “Il governo aveva previsto il rallentamento del debito pubblico per questo ha elaborato una manovra che vuole perseguire una politica espansiva, ma responsabile, approvando misure di cui il Paese necessitava da troppi anni per ristabilire equità sociale”. Il decreto crescita, all’esame del Consiglio dei ministri in agenda giovedì 4 aprile, è la diretta conseguenza di quel botta e risposta. L’esecutivo ci ha lavorato sopra sino allo sfinimento, l’ultima versione la si vedrà solo un minuto prima dell’avvio dei lavori di Palazzo Chigi, in modo da evitare cadute e scivoloni. Conte, quasi certamente, ne avrà parlato anche con Juncker il quale potrebbe non essersi limitato a registrare il contenuto del provvedimento. Il nodo dei rimborsi per i risparmiatori truffati dalle banche non è un tema al ristretto ambito familiare essendoci di mezzo le norme europee in materia.
Il premier Conte, del resto, ha manifestato l'auspicio che nel decreto ci siano le norme per i risparmiatori, anche se all'interno dell'esecutivo c’è chi spinge per un’altra soluzione: inserire la norma di correzione nel dl Crescita e successivamente varare i decreti attuativi. Un meccanismo utile a mettere al riparo i funzionari del Mef su eventuali provvedimenti della Corte dei Conti. E non solo. L’ombra del caso Tria pesa come un macigno sull’intera vicenda. E comunque vada a finire il braccio di ferro è del tutto evidente come, dopo il varo del provvedimento, la posizione del titolare dell’economia sia un nodo da sciogliere. “Invito tutti i ministri a non lasciarci distrarre da timori o preoccupazioni”, afferma il premier Giuseppe Conte, da Doha, parlando delle tensioni delle ultime ore all’interno della maggioranza, e in particolare tra il Movimento 5 stelle e il ministro. “Leggo su alcuni giornali di dimissioni o strane richieste, non c’è nessuna dimissione o richiesta di dimissioni all'ordine del giorno”', precisa il premier. Per ora, perché la faccia di un ministro traballante è perfetta da spendere su un provvedimento che potrebbe non piacere. Del resto la vera resa dei conti sui conti dell’Italia ci sarà solo dopo le elezioni europee. E i buffetti di Juncker, a quel punto, potrebbero diventare schiaffi a mano aperta. Con l’economia con il freno a mano tirato e i mercati gelidi nei nostri confronti non si può ballare in eterno sul ponte del Titanic. Anche perché l’orchestrina sta finendo gli spartiti….