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I veri interessi fra Italia e Qatar

La visita del premier Conte ha potuto solo confermare ciò che diverse testate giornalistiche avevano già anticipato: i rapporti bilaterali tra Qatar ed Italia si sono notevolmente infittiti negli ultimi 12 mesi, intervallati da un susseguirsi di visite, ufficiali e non. L’incontro tra Conte e l’emiro Al-Thani va a suggellare una serie di appuntamenti partiti in ottobre, con l’inattesa visita di Matteo Salvini nell’emirato affacciato sul golfo arabico, fortemente criticata dagli analisti e opinionisti nostrani per un motivo semplice: può il leader di un partito sovranista ed identitario come la Lega stringere ottimi rapporti con un emirato che, con la sua vicinanza ai Fratelli Musulmani e all’integralismo più spinto, vede l’Europa come un allettante “supermercato” per i suoi plenipotenziari fondi di investimento?

Pecunia non olet, evidentemente. Deve averlo pensato anche il Movimento 5 Stelle, dal momento che i segnali di avvicinamento mostrati da Salvini sono stati confermati dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, poche settimane fa in visita a Doha, nonché dalla visita ufficiale dell’emiro Al-Thani proprio a Roma nel novembre scorso ricambiata dal recentissimo viaggio di Conte. L’assiduità di tali scambi di visite è motivata dall’incremento notevole dei rapporti economici tra i due Paesi, i quali cercano di fare profitto in settori circoscritti e dall’altissimo valore strategico, quali armi ed energia. Più dell’80% delle esportazioni qatariote in Italia sono costituite da gas liquefatto, incamerato e processato dall’Adriatic Lng Terminal di Porto Levante, la cui comproprietà appartiene proprio alla potentissima Qatar Petroleum. Qualche settimana fa, poi, l’Eni ha raggiunto un accordo sempre con la compagnia petrolifera qatariota per il permesso di estrazione del “blocco A5-A” situato in Mozambico.

D’altronde l’Italia sembra essere diventato uno dei principali fornitori militari dell’emirato: in poco più di un anno abbiamo venduto a Doha sette navi da guerra prodotte da Fincantieri per circa 4 miliardi di euro, ben 28 elicotteri Nh 90 per 3 miliardi di euro, oltre all’accordo sottoscritto per la consegna di 24 caccia multiruolo Typhoon del consorzio Eurofighter, il 36% del quale è in mano a Leonardo-Finmeccanica. La crisi del Golfo ha messo alle strette il Qatar, circondato da Paesi ostili (Arabia Saudita in primis) per via di complicate alleanze trasversali che pesano nel mondo islamico, ed ha messo di fronte l’emiro la necessità di diversificare la consueta natura dei suoi investimenti europei, puntando forte sugli armamenti.

Ma di quali investimenti parliamo? La Qatar Investment Authority (Qia), nonché a Mayhoola for Investment, fondi gestiti direttamente dalla famiglia reale, hanno speso in diversi settori: l’emiro ha rilevato il 49% della compagnia aerea Meridiana, l’Hotel Gallia di Milano, il Four Season di Firenze, diverse strutture alberghiere in Costa Smeralda, la maison Valentino (per 700 milioni di euro), il progetto di riqualificazione del quartiere Porta Nuova a Milano, alcuni palazzi storici milanesi ospitanti le filiali di Credit Suisse, nonché la recente partecipazione al capitale di Inalca, per non parlare del calcio, dove la Qatar Airways già sponsorizza club come la Roma, senza contare le partecipazioni di imprese italiane alla costruzione dei nuovi stadi con i quali l’emirato ospiterà i mondiali del 2022. Un impero fondato sull’acquisizione di immobili di lusso…e non solo. Il recente dossier pubblicato da due giornalisti francesi ed intitolato “Qatar Papers” fa luce su punti oscuri del proficuo rapporto italo-qatariota: solo nel 2014 l’emirato ha sborsato 71 milioni di euro per la costruzione di circa 113 centri di preghiera islamici in tutta Europa tramite la Qatar Charity, sempre controllata dalla famiglia reale.

L’Italia è stato il Paese prescelto tra tutti quelli europei per volume di investimenti: i soldi qatarioti sono finiti in progetti riguardanti la Sicilia ed il Nord Italia (Saronno, Piacenza, Brescia ed Alessandria), mentre nel dossier spunta anche una preoccupante lettera di raccomandazione firmata dallo sceicco Yussuf Al Karadawi che esorta i destinatari a donare somme di denaro al Caim, il coordinamento delle associazioni islamiche di Milano e Monza-Brianza. Al Karadawi è conosciuto per le sue posizioni integraliste spesso amplificate dai canali di Al Jazeera; egiziano di nascita, mente pensante dei Fratelli Musulmani, convinto fautore del proselitismo e dell’espansione della Ummah verso il continente europeo. Nessuna legge vieta ai petroldollari qatarioti di investire in discutibili centri religiosi sul suolo italiano. C’è da chiedersi, a questo punto, che tipo di interesse nazionale Roma suppone di difendere nel caso in cui, oltre ai leciti accordi di scambio in campo energetico e militare, rinunci alla tutela del nostro naturale patrimonio confessional-culturale a favore di un’apertura a confessioni ed ideologie veicolanti quel pericoloso estremismo che ha già in più occasioni dato prova della fragilità del moderno tessuto identitario europeo.

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