Gli italiani si recheranno alle urne tra poche settimane. I primi giorni della campagna elettorale hanno evidenziato l’interesse delle principali forze politiche a rilanciare alcune proposte il cui scopo è, all’evidenza, quello di indurre l’elettore a credere che qualcosa di buono per le sue tasche certamente verrà nel prossimo futuro. Ma i margini di manovra in materia finanziaria sono ristrettissimi, una volta introdotto in Costituzione il principio dell’equilibrio di bilancio. Dunque, non si può che auspicare serietà sul punto da parte degli attori politici e meno slogan (tanto accattivanti quanto inutili). I vincoli europei sono un baluardo inespugnabile, almeno sino a quando non sarà aggredito seriamente il debito pubblico italiano. Siamo lontani, purtroppo, da questo scenario ed il ritorno al sistema elettorale proporzionale, con il relativo inevitabile compromesso che esso reca tra le forze politiche, non sarà di aiuto.
Altri perciò dovrebbero essere i temi sui quali le forze politiche devono concentrarsi. Proviamo ad elencarne due, tra i più importanti: 1) il controllo dei flussi migratori; 2) la giusta relazione tra Italia e Europa.
Il primo è il più sentito dalla gente, anche in ragione di fatti di cronaca nera e del continuo richiamo dei mass media all’attenzione di un fenomeno che, in apparenza, sembra fuori controllo. Il discorso sarebbe molto lungo. In poche battute potremmo dire che le forze politiche dovrebbero dire agli Italiani la pura verità, cioè che una quota di immigrati (per forza di logica, regolari) è necessaria per ragioni economiche, demografiche, finanziarie. A ciò si deve aggiungere il senso di civiltà di una Nazione che sempre ha visto accogliere propri connazionali altrove, oltre che la semplice constatazione che non basta schioccare le dita per risolvere un fenomeno di tale portata. Il problema dovrebbe essere così spostato sulla programmazione dei flussi migratori, da analizzare su base annuale e pluriennale, con particolare riguardo alla tipologia di lavoratori richiesti dalle famiglie e dalle imprese. Per fare questo serve non solo la politica, ma esperti del settore e burocrazia snella. A quando un dibattito pubblico serio su questo aspetto, scevro cioè dal becero talk show cui assistiamo quotidianamente?
Il secondo tema è quello dell’Italia in Europa. Vale la pena chiedersi, anche in questo caso, se è stata fatta una seria analisi dei costi e dei benefici, prima di affidarsi a facili slogan sovranisti. Ad esempio, quanti finanziamenti ha ricevuto lo Stato (e le imprese) dall’Europa? Quali sono i vantaggi che riceviamo dall’essere cittadini europei? Quali gli svantaggi? La fase attuale vede il nostro Paese in un guado: guarda verso l’Europa ma è fermo o, peggio, cammina all’indietro. Di nuovo, bisogna aprire un serio dibattito pubblico. Dal coordinamento della finanza pubblica dovremmo passare a standard comuni anche per giustizia, istruzione, ricerca universitaria, infrastrutture, burocrazia. Per sentirci cittadini europei, cioè, dovremmo non solo avere regole comuni per la formazione dei bilanci e della spesa pubblica, ma anche regole comuni, ad esempio, per i tempi della giustizia e le sue dinamiche, per l’accesso alle scuole e all’università, per il funzionamento della macchina burocratica, per il rilascio dei permessi alle imprese, etc. Insistere solo sulla necessità di deroghe ai limiti di bilancio non aiuta ad aumentare la consapevolezza che stare in una Europa veramente unita può essere una opportunità e non un problema nel mondo globale.