La via della Seta cinese si dimostra un'occasione ghiotta per Vladimir Putin, atterrato a Pechino l'altroieri per prendere parte al secondo Forum della “Belt and Road Initiative” insieme a 37 capi di Stato e la partecipazione straordinaria del Presidente dell'Fmi Christine Lagarde. La grande rilevanza mediatica riscossa dall'arrivo del numero uno del Cremlino ha sortito l'effetto di scaturire le più fantasiose reazioni negli occhi dei sostenitori del progetto eurasiatico e negli studiosi dei rapporti sino-russi, evolutisi in maniera sempre più interessante negli ultimi anni di collaborazione reciproca. La Russia, è cosa nota ormai, non prenderà attivamente parte al progetto geopolitico di Pechino: le principali città russe, infatti, fungeranno soltanto da terminale per gli afflussi di merci cinesi. Del resto, da tempo Mosca ha implementato il proprio progetto, ossia quello dell'Unione Economica Eurasiatica, per certi versi in opposizione proprio allo strapotere economico del Dragone, diventato ormai un attore egemone nelle dinamiche dell'Africa subsahariana e, soprattutto, dell'Asia centrale, storica sfera di influenza russa.
Se le ambizioni dei due Paesi si stanno dimostrando così divergenti nella scala globale, c'è da chiedersi il perché della visita di Putin, molto discussa anche per via dei suoi obiettivi laterali: l'incontro bilaterale con il leader nordcoreano Kim Jong Un, prima visita in assoluto tra Mosca e Pyongyang, avvenuta nella città di Vladivostok, estremo porto sul Pacifico russo. Il pittoresco arrivo del leader nordcoreano, giunto in Russia rigorosamente in treno, ha rappresentato il preludio ad un incontro durato tre ore, di cui due in forma privata. Stando a quanto affermato dall’agenzia di stampa russa Ria Novosti, la denuclearizzazione della penisola coreana è stato l'argomento prevedibilmente di maggiore portata. Oltre alle questioni strategiche globali, Mosca e Pyongyang hanno avuto la possibilità di rivedere la storia delle proprie relazioni bilaterali, dal carattere spesso e volentieri controverso fin dai tempi della Guerra Fredda: da avamposto dell'Urss nella guerra del 1950 fino a divenire sempre più una costola delle ambizioni cinesi nella regione, la Corea del Nord, ultimo regime di stampo puramente socialista presente al mondo, è riuscita a migliorare sensibilmente il proprio posizionamento geopolitico sfidando apertamente gli Stati Uniti, per poi gestire privatamente e con discreti risultati un processo di pacificazione graduale con Seul che fino a pochi anni fa sembrava essere pura fantascienza. Putin ha avuto modo di proporre al capo di stato nordcoreano una partnership con Mosca che veda al centro l'argomento energetico, dato l'enorme potenziale di mercato posseduto dalla Corea del Nord ma ancora non sfruttato a dovere: fonti russe parlano non solo di gasdotti, ma anche di sistemi di linee elettriche necessarie a Pyeongyang per colmare l'enorme gap tecnologico maturato rispetto a Seoul.
Nonostante l'alta attenzione mediatica riscossa dall'evento, diversi analisti hanno sottolineato la mancanza di risvolti pratici immediati dall'incontro Kim-Trump. Eppure, la strategia asiatica di Mosca prosegue senza soste, alla ricerca di nuovi partenariati strategici alternativi a quelli tradizionali. In questa ottica la presenza di Putin a Pechino risulta essere perfettamente plausibile: nonostante la Via della Seta segnerebbe la fine delle ambizioni russe riposte nella Uee, Mosca deve assolutamente legittimare il proprio posizionamento strategico, leso nel tempo da un “estero vicino” fin troppo recalcitrante (Georgia ed Ucraina in primis), ma rilanciato anche da alleanze “non convenzionali” come quelle consolidatesi con la Siria, la Turchia, il Venezuela e diversi Paesi africani. Meglio incamminarsi sulla controversa Via della Seta che veder tutti i propri alleati diminuire drasticamente.