Nessuno, purtroppo, nemmeno i bambini, è al riparo dagli effetti della violenza e della violazione dei diritti umani. Alla radice di tale drammatica realtà vi è sempre una disumanizzazione dell’altro, cioè la spinta a retificare un soggetto all’essere oggetto di un abuso, di un utilizzo finalizzato a soddisfare esigenze e scopi di varia natura, che stravolgono i diritti e il rispetto della persona. Gli effetti hanno sempre una portata traumatica, soprattutto durante l’infanzia, mirando nelle fondamenta i legami di attaccamento e di fiducia.
La costitutiva dipendenza dei bambini dall’adulto, la qualità affettiva delle relazioni primarie di attaccamento, la domanda d’amore che permea il periodo infantile, rendono più fragili i piccoli rispetto all’ab-uso del potere dell’altro. Inoltre l’immaturità delle risorse psichiche e mentali e il bisogno di cura dei bambini, li porta ad una maggiore esposizione a rapporti di prevaricazione e li rende più facilmente manipolabili e condizionabili. Ciò, nel tempo, crea effetti devastanti all’interno dei legami di dipendenza e una confusione nei piccoli rispetto alla propria identità fino a poter produrre una frammentazione di sé, una perdita di empatia all’interno delle relazioni di affiliazioni e un progressiva chiusura e isolamento. Non si può certo generalizzare, ogni bambino è un individuo unico, tuttavia l’esposizione continua ad una qualità aggressiva, ricattatoria e intimidatoria da parte dell’adulto, alimenta, a sua volta, nei minori, la pulsione aggressiva.
Lo sfruttamento, la schiavitù e il traffico di bambini è presente in percentuali maggiori nei paesi meno sviluppati: povertà, disperazione e anche la convinzione che i bambini siano una proprietà degli adulti permeano il funzionamento relazionale e sociale. Tuttavia anche nei paesi occidentali più sviluppati i minori sono oggetto di soprusi e sfruttamento.
Quali possono essere gli effetti nell’infanzia? Ribadisco che non penso si possa generalizzare date le tante variabili in gioco, soggettive e ambientali, ma si può senz’altro sottolinearne la portata traumatica, soprattutto in riferimento ai bambini, cioè a soggetti ancora fragili e poco strutturati.
Sigmund Freud, in uno scritto del 1925, “Inibizione, sintomo e angoscia” introduce la sua lettura sul trauma, sottolineando che il trauma non si identifica con un evento eclatante ma riguarda una sequenza di atti, di esperienze, caratterizzate dal fatto che il soggetto vive, come oggetto, un’esperienza di profonda passività, vissuta in solitudine e senza una protezione. In particolare, gli effetti del trauma sono strettamente legati alle risorse proprie del soggetto nel resistere alle ripercussioni, così come alla lettura che ogni soggetto fa dell’evento traumatico. Nei bambini, il costante incontro con la prevaricazione dell’adulto, comporta, dato lo stato di estrema impotenza e relativa dipendenza dall’altro, una costellazione emotiva complessa: paura, sensi di colpa, vergogna, un vissuto di dispiacere legato all’eccesso di tensione, di eccitazione, costringono i minori ad ubbidire, a corrispondere alle richieste.
Nessun evento può dirsi traumatico – cioè incidere sul soggetto – a priori, solo in “aprés–coup”, cioè in un tempo secondo, si fissa il carattere eccessivo di violazione, di sopruso. Nella prospettiva della psicoanalisi è il trauma che fa del soggetto l’oggetto del trauma e tale condizione comporta una peculiarità psicologica. Vale a dire, l’effetto del trauma implica una fissazione di quanto avvenuto che impatta nel vissuto psichico interno del soggetto e quindi il rischio di una ripetizione da parte della vittima, bambini compresi, nel divenire oggetto di altre relazioni abusanti, di dominio e sfruttamento. Non va minimizzata infatti la forte esigenza dei minori di creare, favorire relazioni di attaccamento, di cura e il bisogno di riferimenti forti, in grado comunque di fornire una forma di protezione, guida e sicurezza. Generalmente i bambini si fidano degli adulti!
Inoltre non va dimenticato che, in alcune aree del mondo, i piccoli crescono insieme a guerre, violenze, devastazioni: questo è ciò che fin dalla nascita li circonda e osservano. Paradossalmente è la loro normalità e certo non aiuta a ordinare, a distinguere il bene dal male, a crescere nella cultura del consenso e del rispetto della loro persona e dei loro diritti. A tal riguardo, si potrebbe affermare, con René Girard, che la violenza è sempre stata alla base della costituzione di ogni ordine sociale, anche quelli apparentemente più pacifici, perché violenta è la matrice che istituisce l’autorità e ogni forma di legame sociale è permeata da una, anche silenziosa, irriducibile violenza. Pensiamo solo alla cattura nelle rete della pedopornografia, così invadente e pervasiva, anche nel mondo web, nei paesi a capitalismo avanzato.
Comunque non va tuttavia dimenticato che i bambini hanno grandi risorse, sono abili costruttori, architetti, registi e attori del loro rapporto con la vita. Tale particolarità rende necessari interventi, spesso urgenti, per mettere fine al ripetersi di relazioni abusanti e violanti, per consente ai piccoli di potersi servire della protezione e della cura di chi può offrire loro amore e rispetto.
Oltre a ciò è indubbiamente prezioso poter offrire ai minori un luogo psicoterapico, affinché il lavoro clinico consenta di trattare ferite e dolori e poter ripristinare nel bambino la fiducia nell’altro e nel mondo. Un ambiente adeguato e la psicoterapia consentono al bambino di elaborare la serie di eventi traumatici e, in particolare, di rinunciare alla spinta ad essere l’oggetto della cattura del potere dell’altro. Il luogo terapeutico, in quanto garanzia di uno spazio di parola, può gradatamente consentire l’emergere, nel minore, di un soggetto nuovo e, nel contempo, promuovere desideri e progetti vitali. Le ferite, gradatamente, possono essere rimarginate, anche se rimangono le cicatrici.
L’infanzia negata non segna necessariamente e in modo definitivo il destino di un individuo: chiaro è che deve poter avvenire una nuova scrittura, affinché il soggetto possa infine individuare un proprio modo di aver a che fare con se stesso, con gli altri e con la vita, nell’invenzione singolare del legame d’amore.