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I promessi sposi del nuovo governo

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La domanda, in fondo, è anche banale, ma il  nuovo giro di consultazioni, affidate al presidente della Camera Roberto Fico, produrrà nuovi calcoli e nuove alchimie in Parlamento? Nulla sarebbe ancora deciso, o almeno cosi sembra. Del resto il modo di agire, le stesse scelte fatte lo confermano, del presidente della RepubblicaSergio Mattarella, ha ridotto ai minimi termini il gioco delle previsioni.

Le palle di vetro, però, non sono in soffitta. Passano di mano in mano come non accadeva da anni. Certo la domanda chiave è se alla scadenza del weekend di riflessione imposto dal Quirinale dopo il tentativo affidato alla presidente del Senato Elisabetta Casellati, sapremo realmente qualcosa di più. Oppure sapremo solo di meno. Ma non per questo  il totogoverno, si è fermato. Anzi, il gioco preferito dei giornali, impazza più che mai.

Pallottoliere alla mano, le combinazioni dei voti alla Camera e al Senato sono una indicazione decisiva per le scelte della politica. Il punto chiave è la maggioranza richiesta a Montecitorio e palazzo Madama per avere la fiducia: rispettivamente 316 deputati e 161 senatori. Lo schema più forte in Parlamento resta quello tra M5s e centrodestra unito, un governo formato su queste basi avrebbe 484 sì a Montecitorio e 246 a palazzo Madama. L'altra soluzione ipotizzata in questi giorni di crisi, M5s-Lega, avrebbe un buon margine alla Camera (347 deputati) ma più risicato al Senato (167 senatori). Ancora, l'abbinata M5s-Pd avrebbe vita dura in Parlamento: 333 voti alla Camera ma solo 161 al Senato. Le cose andrebbero solo di poco meglio se ad una maggioranza di questo tipo si unisse Leu, l'asticella salirebbe a 347 sì a Montecitorio e a 165 a palazzo Madama.

Lo schema con Pd e centrodestra completo avrebbe invece 373 voti alla Camera e 189 al Senato. Infine, un accordo Fi-Pd non potrebbe avere sbocchi di governo, visto che mette insieme appena 216 deputati e 113 senatori. Anche con l'eventuale apporto di parlamentati di altri gruppi, dal Misto a quelli minori, la fiducia sarebbe un miraggio. Dunque il gioco dei numeri legittima ambizioni e aspirazioni, ma certifica anche le elucubrazioni su quei matrimoni annunciati ma che potrebbero non essere celebrati. In pratica da settimane si va ragionando sul fatto che fra la Lega di Salvini e i 5 Stelle di Di Maio l’accordo per fare un governo sarebbe cosa fatta. Le stesse scelte operate in Parlamento sui presidenti di Camera e Senato e ai vertici delle commissioni rafforzano la tesi. Ma se i grillini hanno solo il problema di affrancarsi da se stessi, il capo della Lega deve trovare il modo di separarsi consensualmente da Silvio Berlusconi, diventato il Don Rodrigo della situazione.

Manzonianamente questo matrimonio, Lega-5 Stelle, s’ha da fare, nonostante l’avversione di Forza italia. Il capo degli azzurri teme, forse in egual misura sia le elezioni anticipate sia la formazione di un governo dove Forza Italia si deve limitare all’appoggio esterno. Mai come ora il Cavaliere sogna un ritorno in grande stile del patto del Nazareno. Solo che a rimettere in gioco il Pd deve essere il Quirinale e non Forza Italia. E questo sarebbe il punto attorno al quale Berlusconi non riesce a trovare la quadratura del cerchio.

Come arrivare a ciò? Certamente facendo fallire il tentativo di Fico ma non rompendo con Salvini. Cosa non facile vista la situazione generale. “Il Pd ha detto chiaramente in queste settimane, e lo ha votato anche in Direzione: mai nessun sostegno a un governo M5s. E allora come si potrebbe immaginare, stando ai retroscena dei giornali, che il presidente della Repubblica possa affidare al presidente della Camera Fico il mandato ad esplorare un eventuale governo Pd-M5s?”, scrive sulla sua pagina Facebook il deputato del Pd, Michele Anzaldi.

Ecco, appunto, come lo si può immaginare se anche esponenti dem di primo piano si stupiscono? Semplice, basta insistere sul tema in modo da far capire a Mattarella che il Pd è esattamente proiettato in questa dimensione. Non altre. In fondo la fragilità della tela tessuta da Salvini e Berlusconi è evidente a tutti. Basta un soffio di vento più forte per strapparla. E, soprattutto, il capo del Carroccio ha ben presente la lezione di Gianfranco Fini. Non batti Berlusconi chiedendogli di farsi da parte, in quel modo lo aizzi soltanto. L’unica strada è ottenere la leadership attraverso il consenso popolare, per acclamazione, ovvero con le stesse armi di Silvio. E se per ottenere ciò occorre un matrimonio impuro, be' che lo si celebri. In fondo per qualcuno sarebbe solo l'inizio della fine e per altri la fine dell'inizio…

Enrico Paoli: