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Hong Kong, la disputa Usa-Cina sulla sliding door con l’Occidente

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La tensione fra Cina e Stati Uniti sta crescendo, siamo in una fase di ripolarizzazione del sistema internazionale. Questo c’era già molto prima del Covid, che ha semplicemente accelerato questa dinamica. La quale ha a che fare con l’ascesa cinese, che destabilizza il sistema centrato sulla leadership occidentale. Per questo viene a crearsi una tensione, poiché c’è un tentativo di bloccare questa ascesa nell’ottica del mantenimento dello status quo. L’esempio forse più chiaro è quello dell’integrazione globale in termini economici, accentuata molto dagli anni Novanta in poi dall’Occidente, ma che si è poi rivelata uno strumento che andava a vantaggio più dei Paesi riemergenti, come la Cina e l’India. Oggi c’è la tendenza a rilocalizzare le industrie a casa propria e rialzare le tariffe doganali, perché ci si è resi conto che questo processo di integrazione globale non andava a favore dell’Occidente. Creava debolezza economica, disoccupazione, malcontento popolare, cosa che poi ha portato alla crescita forte dei partiti antisistema, in Europa come negli Stati Uniti.

Quello che sta succedendo a Hong Kong è uno dei punti di frizione fra Usa e Cina, importante anche se non l’unico, che va ben oltre quello che Pechino sta facendo passare, ovvero la restrizione della democrazia in città. E’ un punto importante ma è un casus belli che viene utilizzato per aumentare la pressione sulla Cina. Ciò che sarebbe da chiedersi è perché sia avvenuto proprio in questo momento: gli Stati Uniti attraversano una fase di debolezza, poiché c’è una crisi economica e sanitaria, e la Cina ha probabilmente pensato di poter procedere senza correre troppi rischi da parte dell’amministrazione americana. Allo stesso tempo, ci sono delle elezioni incombenti negli Usa e il tema cinese fa già parte della campagna elettorale. In questo senso, questa operazione porge su un piatto d’argento l’opportunità di sviluppare una campagna ancor più in ottica anti-cinese da parte di Trump. Il quale, peraltro, è in difficoltà nei sondaggi e, questo è abbastanza evidente, punta sull’accusa alla Cina per riguadagnare consensi nella campagna elettorale.

Non è esattamente chiaro perché la Cina abbia scelto questo momento. Da un lato ci sono delle opportunità, dall’altro ci sono le elezioni e la leadership cinese sa benissimo che Trump avrebbe reagito in questo modo. In un certo senso, è quasi come sfidare questo tipo di reazione, magari attraverso un calcolo preciso, preventivando una risposta mediatica ma, considerando il momento di relativa debolezza economica, senza aspettarsi altro tipo di ritorsioni le quali, in caso, sarebbero comunque leggere. Forse per questo la Cina ha scelto di mettere ordine a Hong Kong, dove le proteste sono esplose ben prima dell’avvento del Covid.

Ogni azione genera delle contromisure ma, probabilmente, la leadership cinese siano deboli, in corrispondenza al momento attraversato dagli Stati Uniti. La partita può essere molto grossa: già Hong Kong ha sofferto moltissimo, dal punto di vista economico, di questa tensione che c’è da tanto tempo. E Pechino potrebbe voler rilanciare la centralità di Hong Kong come snodo tra la Cina e il resto mondo, cosa che la città è stata per anni. Ora invece gli americani minacciano di rimuovere questo status. Il problema è qual è l’alternativa: i cinesi, in origine, pensavano di pensare la “porta scorrevole” a Shanghai, ma questo non si è rivelato possibile, perché il sistema regolatore non è sufficiente aperto alle interazioni finanziarie con il resto del mondo. Quello finanziario, oltre alle complessive tensioni geopolitiche, è un nodo importante, perché riguarda come transita il denaro, la finanza, tra la Cina e il resto del mondo. Fino a oggi era perlopiù Hong Kong, però negli ultimi mesi, vista l’instabilità, questo canale era stato in parte ostruito.

La Cina ha necessità di renderlo nuovamente funzionale ma se c’è la chiusura americana serve trovare un’alternativa, perché un canale di comunicazione finanziaria deve esserci. L’alternativa, forse, la leadership cinese continua a inquadrarla in Hong Kong, perché un hub finanziario di collegamento deve restare e Pechino potrebbe ritenere che le minacce americane, per quanto propagandistiche, non portino conseguenze serie. La situazione non è molto chiara ma, accanto al tema geopolitico, ce n’è uno specificatamente finanziario che è forse l’antenna più importante.

Raffaele Marchetti: