Intervento

Guerra in Nagorno-Karabakh: l’appello del Papa e della Chiesa

Non c’è pace per i cristiani armeni del Nagorno Karabakh. Martedì scorso l’enclave armena in territorio azero è stata di nuovo attaccata da un’operazione militare delle forze armate dell’Azerbaijan, che ufficialmente hanno giustificato l’iniziativa definendola un’azione “antiterrorismo”, dopo che negli scorsi giorni alcuni civili e poliziotti azeri erano morti a causa dell’esplosione di una mina.

In realtà, come abbiamo già spiegato dalle pagine di In Terris, da decenni il Nagorno, popolato da armeni cristiani, è conteso tra la Repubblica di Armenia, che rivendica una comunione etnico-culturale con questo territorio, l’Azerbaigian che invece vuole riportare la piena sovranità su quest’area, che ricade nei suoi confini, anche grazie al sostegno della Turchia.

Davanti l’ennesimo attacco violento delle forze di Buku, ieri, al termine dell’udienza generale in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha lanciato un appello perché tacciano le armi e si trovino soluzioni pacifiche nel Nagorno Karabakh. Il Santo Padre ha ricordato che “la già critica situazione umanitaria è ora aggravata da ulteriori scontri armati”. Nelle stesse ore anche la Chiesa cristiana armena ha espresso tutta la sua preoccupazione. Il patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici, Raphael Bedros XXI Minassian, ha chiesto l’intervento di Stati Uniti, Russia ed Europa per porre fine all’aggressione dell’Azerbaijan e per raggiungere una pace nell’interesse di tutte le persone che abitano nella regione. Il patriarca cattolico ha quindi denunciato il silenzio della comunità internazionale che ha definito “addormentata”.

Quello in Nagorno è infatti uno dei tanti conflitti dimenticati, dove c’è un aggredito e un aggressore, ma che l’Occidente spesso finge di dimenticare perché l’Azerbiajan è un fornitore affidabile di gas e petrolio soprattutto in questo periodo di sanzioni alla Russia. Le fiammate di violenza vanno avanti dai primi anni Novanta quando crolla l’Unione Sovietica e Armenia e Azerbaijan diventano due Stati autonomi. Il Nagorno Karabakh, che ricade in territorio azero, il 2 settembre del ‘91 dichiara di non seguire la repubblica dell’Azerbaigian. Il 6 gennaio del 1992 nasce la repubblica del Nagorno e poche settimane dopo Azerbaigian l’attacca e l’Armenia corre in soccorso della regione popolata da armeni. A rendere ancora più scottati le ferite di questo conflitto sono gli echi dell’olocausto armeno di inizio ‘900 condotto dalla Turchia e che causò alla morte di circa un milione e mezzo di armeni. L’odio in questa regione ha radici profonde che portano ad un nazionalismo esasperato.

In questa cornice ieri è stato raggiunto un cessate il fuoco tra i rappresentati del Nagorno Karabakh e le autorità dell’Azerbaijan che prevede il ritiro di tutte le truppe della Repubblica d’Armenia. Secondo le comunità armene della diaspora sparse nel mondo si tratta di una resa “pressoché incondizionata” delle autorità di Stepanakert di fronte alle perdurante minaccia delle bombe azere. In un comunicato la comunità armena di Roma si dice preoccupata per una possibile pulizia etnica e “per la sorte dei 120.000 armeni della regione costretti a lasciare patria, case, lavoro per fuggire altrove oppure destinati a vivere come sudditi odiati nella dittatura di Aliyev che (report 2023 di “Freedom house”) è fra le peggiori al mondo per rispetto dei diritti civili e politici”.

Secondo gli armeni in Italia anche il destino del patrimonio culturale e religioso armeno (già vandalizzato o distrutto nei territori conquistati dagli azeri durante la guerra) è fortemente a rischio. “Al riguardo, siamo addolorati che il monastero di Amaras dove nel 406 il monaco Mashtots coniò l’alfabeto armeno sia ora occupato dai soldati dell’Azerbaigian che avranno probabilmente già provveduto a danneggiarlo” si legge ancora nella nota. Oltretutto ora c’è anche il rischio che gli armeni del Nagorno karabakh debbano subire maggiori restrizioni e progressivamente lingua, cultura e storia saranno bandite. Per questo motivo gli armeni della diaspora chiedono alla comunità internazionale e ai media di non abbandonare al loro destino gli armeni del Nagorno Karabakh e di vigilare perché i loro diritti siano sempre tutelati, agendo con gli opportuni strumenti coercitivi, giuridici e politici.

Marco Guerra

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