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Guerra alle bufale

Lo scorso 15 dicembre Mark Zuckerberg ha lanciato in gran stile la campagna di Facebook contro le bufale online. Le linea d’azione che l’azienda californiana intende adottare parte da un maggior coinvolgimento degli utenti. Fb viene rappresentato come una casa comune di cui tutti devono avere cura, non solo pubblicando contenuti sani ma anche segnalando per tempo i fake. A ciò si aggiunge l’intervento vero e proprio dei gestori, attraverso un più completo monitoraggio delle news feed e, in particolare, il confronto tra lettura e condivisione.

In molti casi, sottolinea il Ceo del social network più diffuso al mondo, lo sharing avviene in modo automatico, facendo affidamento sulla prima impressione e senza procedere alla lettura. Questo facilita la diffusione di notizie false, artefatte o parziali. Pertanto, dando per assodato che un’analisi approfondita dell’articolo ne scoraggerebbe la pubblicazione (e su questo Facebook ha già fatto le verifiche del caso), si pensa di introdurre un apposito flag per indicare all’utente quanti abbiano letto il contenuto in questione prima di condividerlo sulla propria bacheca. L’obiettivo è creare una sorta di selezione naturale che nel tempo sgonfi la viralità di pagine e profili sospetti.

Il giro di vite promesso da Zuckerberg è la logica conseguenza degli allarmi lanciati a più riprese sul tema della “post verità“. Ed è anche il miglior modo con cui il management di Fb può difendersi da chi lo ha accusato di essere corresponsabile, nella forma dell’omesso controllo, della diffusione di contenuti complottisti, offensivi e in molti casi addirittura xenofobi, considerati decisivi per l’esito dei due appuntamenti chiave del 2016 della politica internazionale: il referendum sul Brexit e le elezioni americane.

Questo non significa sminuire il risultato delle due consultazioni, o delegittimare la scelta democratica operata dai cittadini britannici e americani. Ma rappresenta semmai una presa di coscienza importante, per lungo tempo attesa, da parte del web. La crisi dei media tradizionali ha, infatti, trasformato internet nel più importante bacino di news a livello globale. Non solo come strumento di veicolazione ma anche come “luogo” dove l’informazione si forma con tutti i rischi che possono conseguirne. Open access e gratuità, infatti, se da una parte assicurano il massimo del pluralismo, dall’altra non tutelano adeguatamente il diritto inalienabile dell’opinione pubblica a essere informata in modo corretto. E’ venuto a mancare, in sostanza, il meccanismo di ricezione e verifica della notizia, vero caposaldo del giornalismo. Ed è proprio sul recupero di questa funzione di filtro, nel quale oggi l’innovazione diventa imprescindibile, che la stampa può tornare a giocare un ruolo decisivo. E ritrovare l’autorevolezza perduta.

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