La Chiesa celebra il mistero della Pasqua durante 7 settimane, da Pasqua a Pentecoste, un periodo di cinquanta giorni, il tempo della “santa allegrezza”, considerato dagli antichi padri della Chiesa “la grande domenica”. Queste sette domeniche ci invitano a celebrare la Pasqua… sette volte (la pienezza!). Per tutto questo tempo, la preghiera liturgica era fatta in piedi, come segno della risurrezione: “Noi consideriamo che non ci è permesso digiunare o pregare in ginocchio di domenica. La stessa astensione la pratichiamo con gioia dal giorno di Pasqua fino alla Pentecoste” (Tertulliano).
Domenica scorsa abbiamo ascoltato le apparizioni del Risorto agli apostoli, il primo e l’ottavo giorno, raccontate da Giovanni. Oggi sentiamo la versione dell’evento secondo l’evangelista Luca. Con questo si concludono le (tre) domeniche in cui il vangelo ci presenta dei racconti sulla risurrezione.
Le tre apparizioni di Luca
Nel capitolo 24, conclusivo del suo vangelo, Luca ci racconta tre apparizioni:
1. la prima, al mattino di Pasqua, quella degli angeli alle donne, presso il sepolcro vuoto;
2. la seconda, nel pomeriggio dello stesso giorno, l’apparizione del Risorto ai due discepoli in cammino sulla strada di Èmmaus;
3. la terza, in serata, l’apparizione di Gesù agli Undici, a Gerusalemme.
Le tre apparizioni sono per testimoniare la realtà della risurrezione, ma anche per evangelizzare i discepoli sul senso dell’accaduto, che li aveva tanto scandalizzati e lasciati nello sgomento più completo.
Tutto si conclude con l’ascensione al cielo. Notiamo bene che tutto avviene nello stesso giorno, il giorno di Pasqua! È una giornata estremamente lunga! Come mai? Come conciliare questo con quanto raccontano gli altri evangelisti? Bisogna ricordare che i vangeli sono stati scritti diverse decine di anni dopo. I fatti erano ormai noti nell’ambito delle comunità cristiane, tramandati oralmente. Gli evangelisti, scrivendo il loro vangelo, tengono conto non solo della storia, ma pensano, soprattutto, alla situazione delle loro comunità. Cioè, hanno un’intenzione teologica e catechetica. Qui Luca vuole presentarci quella che è la domenica tipo del cristiano. Si tratta di un artificio letterario. Infatti, all’inizio degli Atti degli Apostoli presenta le cose un po’ diversamente: “Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni” (1,3).
La fatica a credere nella risurrezione
Tutti i vangeli sottolineano la difficoltà dei discepoli a credere nella risurrezione, fino al punto che Gesù “li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore” (Marco 16,14; Luca 24,25). D’altra parte, Gesù ci tiene a farsi riconoscere perché da questo dipendeva la continuazione della missione. “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. Siccome gli apostoli stentano ancora a credere, Gesù chiede loro qualcosa da mangiare. “Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”. Può un corpo risorto mangiare?! Si tratta forse di una forzatura dell’evangelista per sottolineare la realtà della risurrezione del corpo di Gesù. Pietro dirà al centurione Cornelio: “Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (Atti 10,41).
La fede nella risurrezione è stata frutto di un cammino faticoso, dove non sono mancati dubbi, incertezze e paure. Questo, da una parte, ci rincuora nella nostra fatica a credere; dall’altra parte è per noi una prova che la risurrezione non è una invenzione degli apostoli. Dice San Giovanni Crisostomo a questo proposito in una omelia:
“Come poteva venire in mente a dodici poveri uomini, e per di più ignoranti, che avevano passato la vita sui laghi e sui fiumi, di intraprendere una simile opera? Essi, che mai forse avevano messo piede in una città o in una piazza, come potevano pensare di affrontare tutta la terra? […] Non avrebbero, piuttosto, dovuto dire: E adesso? Non ha potuto salvare se stesso, come potrà difendere noi? In vita non è riuscito a conquistare una sola nazione e noi, con il solo suo nome, dovremmo conquistare il mondo intero? Non sarebbe da folli mettersi in una simile impresa, o anche semplicemente pensarla? È evidente perciò che se non lo avessero visto risuscitato e non avessero avuto una prova inconfutabile della sua potenza, non si sarebbero esposti mai a tanto rischio.” (citazione ripresa dalla IV predica quaresimale 2024 di Raniero Cantalamessa).
La risurrezione, la chiave di senso della vita
La risurrezione è la più grande delle verità – o addirittura l’unica – della nostra fede e l’oggetto primordiale del nostro annuncio: “Di questo voi siete testimoni”! La risurrezione è il “vangelo”, la buona notizia che il cristiano è inviato ad annunciare. Tutto il resto viene come conseguenza. E la prima conseguenza è che, se Cristo è risorto, anche noi risorgeremo con lui. La risurrezione di Cristo e la nostra sono in qualche modo intercambiabili, secondo San Paolo: se Gesù è risorto, risorgeremo anche noi con lui (vedi Romani 6) e, d’altro canto, “se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto” (1 Corinzi 15,13). Con la risurrezione professiamo che la vita ha un “senso”: non va verso il nulla, ma verso la sua pienezza. Se non crediamo nella risurrezione, professiamo anche noi il non-senso della vita: “l’uomo è una passione inutile” (Jean-Paul Sartre), un “essere votato alla morte (Heidegger).
Per un cristiano credere nella risurrezione può sembrare qualcosa di ovvio ma, purtroppo, non è così. Una quindicina di anni fa (2009), in una inchiesta condotta in Francia, solo il 13% dei cattolici rispose di credere nella risurrezione, mentre il 40% disse di credere che ci sia “qualcosa” dopo la morte e il 33% che non ci sia niente (!). Tre anni fa (2021), in una inchiesta fatta in Italia, risultò che solo il 20% degli italiani crede nella risurrezione dei morti. Non è affatto scontato che quanti oggi diranno con le labbra: “Credo la risurrezione della carne e la vita eterna” o “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”, lo credano davvero nel loro cuore. Che poi sia un vero controsenso a dirsi cristiano senza credere nella risurrezione lo affermava perentoriamente già San Paolo: “Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio… Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1Corinzi 15,14-15.19). Togli la risurrezione e tutto l’edificio crolla. Il cristianesimo sarebbe stato la più grande farsa della storia.
Come avvenga la risurrezione non lo sappiamo. San Paolo dice: “È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale” (1 Corinzi 15,43-44). Certo, qui solo la fede nella parola di Dio può vincere ogni dubbio. Diceva uno degli antichi padri del deserto: “Credere alla parola del Signore è molto più difficile che credere ai miracoli. Ciò che si vede solo con gli occhi del corpo, abbaglia; ciò che si vede con gli occhi della mente che crede, illumina” (citazione di Enzo Bianchi). Finché non crediamo alla risurrezione la nostra sarà “la religione del dio fantasma”: Gesù diventa un fantasma, un ricordo, un’immagine, presente ma inefficace (Gaetano Piccolo).
Testimoniare la risurrezione
“Di questo voi siete testimoni”, dice Gesù agli apostoli alla conclusione del vangelo. Oggi lo dice a noi. Come testimoniarlo? Coltivando in noi, con l’aiuto della grazia, la coscienza di essere dei risorti con Cristo. Vivendo la vita nella consapevolezza che stiamo già vivendo nel “terzo giorno”, nel Giorno ultimo e definitivo, quello della risurrezione, anche se portiamo ancora le piaghe della nostra croce. Gesù non ha voluto che le sue guarissero prima delle nostre. Egli porta le nostre piaghe e quelle di tutti i crocifissi della storia. Come curare queste piaghe? Prendendoci cura dell’umanità sofferente!
Per la riflessione personale: confronta la tua fede nella risurrezione con quanto afferma San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, cap. 15.