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La prova del nove per il governo Draghi

Dunque, ci siamo. Il governo presieduto dal premier, Mario Draghi, dopo scarti di lato, rapide accelerate e timide frenate, si appresta ad affrontare il tornante più difficile e complesso della sua storia. L’applicazione del green pass come norma stringente per poter accedere al posto di lavoro rappresenta un passaggio chiave per la vita del Paese e una prova del nove per l’esecutivo in carica.

Essendo, di fatto, saltato quel patto sociale sul quale sono state costruite legislature, vinto battaglie epocali, tipo quella contro il terrorismo, traghettato intere generazioni verso un futuro meno incerto, lo scontro fra i contrari (la minoranza del Paese), e quelli a favore (la maggioranza silenziosa, ferma in attesa degli eventi) rischia di produrre effetti da ambo le parti. E questo cortorcuito delle ragioni plausibili, ma non tutte possibili e accettabili, rischia di ripotare indietro le lancette della democrazia del nostro Paese. La presunta superiorità dell’ideologia basata sulla libertà fai da te (piegando la Costituzione al proprio disegno, senza avere un’idea esatta di quel che dice la suprema Carta) rivendicata dai no green pass e no vax, è entrata in rotta di collisione con la visione collettiva del bene comune, basata sull’idea del salvarsi insieme e non da soli.

Cedo qualcosa nel breve ma guadagno molto nel lungo periodo. L’egoismo, riemerso in tutte le sue forme e alimentato da complottismi e dietrologie fini e se stesse, mette a rischio i portatori di quel pensiero debole e costringe chi crede ancora nella società come forma di appartenenza collettiva a difendersi come può. Non sappiamo cosa ci sia dietro l’angolo, citando una delle formule verbali care a Maurizio Costanzo, l’esercizio della preveggenza non ci appartiene. Tanto il governo quanto quella parte del Paese in sintonia con Palazzo Chigi, potrebbe ritrovarsi su un autostrada libera, come su una strada di montagna piena di curve insidiose, dove si è costretti a fermarsi per incrociare chi scende, in modo da farlo passare. Un’impresa, insomma. Della quale non sappiamo calcolare il costo.

Qualche numero ci aiuta, forse, a inquadrare meglio il tema. Alla vigilia dell’entrata in vigore dell’obbligo per i lavoratori, in un giorno sono stati scaricati 563.186 Green pass, e di queste la maggioranza, 369.415, dopo il tampone. I restanti certificati sono stati emessi per avvenuta vaccinazione (188.924) e per guarigione. Gli italiani che hanno completato il ciclo vaccinale sono 43.584.497, pari all’80,70 % della popolazione over 12. Il totale delle somministrazioni ammonta a 86.952.948 di dosi. Secondo le ultime stime i lavoratori non sarebbero 3,8 milioni. Questo significa che il fabbisogno settimanale stimato di tamponi antigenici rapidi è compreso tra i 7,5 e gli 11,5 milioni. “Se questi 4-5 milioni di lavoratori non si vaccineranno”, spiega il presidente del Gimbe, Nino Cartabellotta, “bisognerebbe fare 12-15 milioni di tamponi a settimana e questo non sarebbe proprio fattibile perché non abbiamo questa capacità”.

Dai numeri più che dalle parole si comprende la complessità del momento. Lo stesso livello di scontro a cui tendono alcune frange estreme, difficile non pensare ai portuali e ai camionisti, dimostra come la fase sia acuta. E proprio per quest’insieme di ragioni la politica, alla quale la storia offre un’occasione unica, irripetibile, non deve ondeggiare, non deve procedere con fare ondivago. Ora, come non mai, maggioranza e opposizione hanno la possibilità di recuperare quella credibilità perduta dal tempo. Uscendo dalla pandemia L’Italia ha perso l’età dell’innocenza. Forse per sempre.

Le strizzate d’occhio al mondo dei no green pass e no vax da parte di alcune forze del centrodestra, ma anche del centrosinistra, rischiano di produrre effetti collaterali peggiori del male stesso. E non tanto per quanto avvenuto, o per quanto avverrà prossimamente in piazza, piuttosto per l’inquinamento del dibattito politico. Avvitarsi attorno al tema se sia dominante la libertà personale, la libera scelta sempre e comunque, di fronte ad una conclamata emergenza sanitaria, o la strada dell’imposizione come soluzione per uscire dall’angolo è fuorviante. Certo, l’obbligatorietà del green pass presta il fianco a molte critiche, giuridiche e filosofiche, e apre la strada a percorsi legislativi sconosciuti e irti di pericoli. Chi protesta non può non essere ascoltato.

Ma se davvero il governo vuol portare il Paese fuori dalla palude, assieme alle forze politiche che ne condividono l’idea, faccia un’opera di trasparenza e ammetta ciò che non può, o non vuole, ammettere. L’obbligo vaccinale, alle condizioni attuali è impossibile. Ma l’imposizione del green pass è il modo per far comprendere come il vaccino, al momento, sia la via maestra. Tenti, insomma, di recuperare quel patto sociale perduto, ma non a colpi di sconti e concessioni. Altrimenti vincerà sempre l’Italia dei riottosi e dei furbetti. L’Italia che non piace a chi rispetta le regole. Magari le subisce, ma sa che c’è sempre un prezzo da pagare. Gridare libertà libertà e poi voler imporre ad altri il proprio modo d’interpretarla, rifiutando il dialogo, non è propriamente un corretto esercizio di democrazia.

Enrico Paoli: