Il “conflitto” ibrido sino-americano fatto di sanzioni, dazi commerciali e guerra a colpi di nuove tecnologie sembra essere entrato nella sua fase più calda.
All’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, infatti, lo scontro tra i giganti Google e Huawei, surrogato di uno certamente di più vasta scala: quello economico e geopolitico tra Washington e Pechino, essendo, entrambe le aziende, a maggior ragione quella cinese, espressione diretta degli interessi strategici delle due nazioni che, insieme alla Russia, ripartiscono il mondo in definite sfere di influenza militare, economica e culturale.
L’avanzata sbalorditiva di Pechino preoccupa l’Occidente a tutti i livelli: l’escalation militare nel Pacifico, la crescita economica, la Via della Seta, nonché il lancio di marchi cinesi, ormai, di successo sui mercati occidentali come Huawei e Xiaomi sono un segnale chiaro al dominio militare e commerciale degli Stati Uniti d’America. Il mondo multipolare viene costruito lungo una direttiva tecnologica, con il continente asiatico protagonista assoluto delle mutazioni geopolitiche in atto, potendo contare su capitali, risorse naturali, crescita demografica e forza lavoro incomparabili in prospettiva futura rispetto ad Usa ed Europa.
Google che decide di abbandonare i dispositivi targati Huawei su “consiglio” del Deep State è la prova dell’aleggiare di un certo nervosismo nelle alte sfere statunitensi. Il presidente Trump sembra aver stretto il controllo sull’apparato tecnologico americano. In quest’ottica può essere interpretato il misterioso incontro avvenuto qualche mese fa tra il numero uno di Google, Sundar Pichai ed un alto funzionario del Pentagono, il generale Joseph Dunford. Da quanto trapelato, la questione alla base dell’incontro sarebbe stata proprio la collaborazione consolidata tra il browser americano e l’azienda cinese finalizzata allo sviluppo di un nuovo prototipo di intelligenza artificiale.
Le pratiche di spionaggio industriale di Pechino sono ben note agli apparati statunitensi. Il nervosismo americano trapela tutto nel tweet di Trump di qualche mese fa: “Google sta aiutando la Cina ed il suo comparto militare, ma non gli Stati Uniti! È Terribile!”. La dottrina tecnologica di Xi Jinping (che equipara formalmente la ricerca a scopi civili a quella a scopi militari) potrebbe rendere pericolosissima la suddetta collaborazione per via della possibile infiltrazione di numerose spie al soldo di Pechino, paure già manifestatesi quando, pochi mesi fa, servendosi di servizi come Google Maps, Huawei aveva “accidentalmente” rivelato il posizionamento di diverse basi americane segrete site a Taiwan. I motivi dietro la decisione di Google, dunque, sarebbero di tipo militare, in barba ai numerosi problemi che questa potrebbe portare al funzionamento regolare di tutti gli smartphone targati Huawei presenti sul mercato occidentale.
Proprio la politica “sanzionatoria” degli Stati Uniti, però, potrebbe comportare degli effetti collaterali molto negativi nell’ottica di dominio tecnologico made in Usa: Huawei, infatti, ha già annunciato la messa a punto di un proprio sistema operativo, concorrenziale a Windows, Apple ed Android, al fine di garantire il funzionamento autonomo dei propri prodotti e bypassare il boicottaggio ordinato da Trump. La Cina vedrebbe, così, reciso qualsiasi rapporto di subordinazione con Washington, divenendo una potenza tecnologicamente indipendente, in grado di produrre dispositivi e software propri con un buon rapporto qualità/prezzo, nonché un proprio segmento web (come recentemente annunciato dalla Russia). Proprio lo scenario che l’Occidente vorrebbe evitare a tutti i costi.