Spesso, quando si parla dei colossi del web e delle c.d. Fintech, si sentono profezie sinistre sul sistema bancario e su come questi innovatori tecnologici si stiano preparando a mandare in pensione i tradizionali istituti di credito, ma questo è un timore fondato?
Ragioniamoci con calma. Vent’anni fa esatti nasceva Paypal, l’antesignana di tutte le Fintech attuali, anche se solo nel 2002 fu aperta al pubblico poco prima dell’acquisizione della società da Ebay.
In due decenni questo strumento, affidabile e sicuro nelle transazioni online e nei pagamenti P2P, è cresciuto fino ad avere oltre 250 milioni di conti attivi ma non ha mai insidiato il settore bancario e neppure quello dei circuiti di pagamento dei big delle carte di credito. Perché, esattamente come gli attuali Apple Pay, Samsung Pay o Google Pay, deve obbligatoriamente interfacciarsi a una carta preesistente (non importa se di credito, di debito o prepagata) o a un conto corrente per funzionare, operando, di fatto, come un conto virtuale parallelo da alimentare tramite strumenti bancari tradizionali per poter operare.
Stessa cosa può dirsi per l’italiana Satispay che, pur offrendo diversi servizi e che si sta diffondendo sempre più come strumento di pagamento, non può essere attivata senza un conto corrente a cui interfacciarla; stessa cosa, infine, vale anche per le varie piattaforme di trading online esistenti o per gli exchange per le criptovalute.
Cosa cambia, invece, con l’acquisizione da parte di Google della licenza per e-money da parte della Lituania e, quindi, valida per tutta l’Unione Europea?
Facciamo un passo indietro, allora; esattamente con l’emanazione della Direttiva 2015/2366, più conosciuta con l’acronimo Psd2, che permette ad aziende di e-commerce come Amazon o piattaforme di social media come Facebook di connettere il pagamento direttamente al conto corrente bancario del cliente previo, ovviamente, il consenso esplicito dell’utente.
Google Pay adesso è a tutti gli effetti un mero portafoglio digitale, che contiene le credenziali delle carte di credito e di debito dell’utente e permette di fare acquisti online, in app e offline. La licenza di e-money rappresenta un possibile cambiamento radicale perché permetterebbe a Google di conservare e trasferire elettronicamente i fondi dei suoi utenti, esattamente come già fanno Paypal o Satispay, processando direttamente i pagamenti e disintermediando le eventuali carte di pagamento su cui, finora, si appoggiava il sistema Google Pay.
Prima di Google, però, già Amazon e Facebook si erano mossi e avevano ottenuto la stessa licenza, il primo in Lussemburgo e il secondo in Irlanda, proprio per le opportunità che la direttiva Psd2 andrà ad offrire nell’ambito dei pagamenti e della gestione dei conti correnti.
Attenzione, però, l’apertura a sistemi di pagamento disintermediati, come può essere già il sistema di pagamenti via Messenger di Facebbok, già attivo negli Usa, o Amazon Pay non vuol dire offrire dei veri e propri servizi bancari come conti correnti o di deposito o l’emissione di prestiti o mutui, cosa per cui occorrerà attendere l’emanazione dei nuovi regolamenti Eba in autunno per verificare i tre big informatici possano veramente aspirare a diventare banca.
Per farlo, inoltre, non basterebbe l’implementazione dei sistemi di pagamento già esistenti con l’offerta di linee di conto corrente ma occorrerebbe realizzare una struttura ad hoc per la gestione commerciale e servizi di compliance e di risk management dedicati, soprattutto se si volesse operare anche nell’area del credito.
A tal proposito potrebbe essere credibile che, invece di creare una struttura bancaria propria, Amazon o Facebook o, ancora, Google possano cercare delle partnership per la creazione di una linea di prodotti smart, dedicati soprattutto alla clientela più giovane, e andando a cercare di incrementare i margini laddove potrebbero essere più appetibili, i sistemi di pagamento e il credito al consumo, cioè.
Questo non significa, ovviamente, che i cosiddetti Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) non approdino all’offerta di prodotti bancari propri nel futuro però è probabile che propongano, con loro brand, dei prodotti di terzi, di banche tradizionali partner, potendo contare così su un ritorno commissionale certo e privo dei rischi tipici del settore bancario, continuando a concentrare le politiche commerciali e di sviluppo sul proprio core business.
L’ottenimento di una licenza bancaria, quindi, permetterebbe, oltre che di creare un sistema di pagamento proprio di operare da intermediario offrendo dei servizi aggiuntivi che possano fidelizzare la clientela e incrementare gli introiti, contando su un marchio che, oggi, ispira molta più fiducia nel pubblico, soprattutto giovane, rispetto agli istituti di credito tradizionale. La creazione di partnership con questi ultimi, che fornirebbero i prodotti da commercializzare sotto un nuovo brand, Amazon Bank o Google Bank ipotizziamo, rappresenterebbe una soluzione win win sia per i big dell’It, sia per il settore creditizio, con la possibilità di raggiungere un segmento di clientela che risulta piuttosto refrattario all’accensione di rapporti bancari e al cross selling che, oggi, rappresenta il vero punto chiave per mantenere la redditività.
Questo è solo uno scenario che va dipingendosi analizzando gli ultimi avvenimenti, non l’unico possibile ma, credibilmente, il più probabile. Non si tratta, quindi dell’inizio del tramonto delle banche ma di un probabile punto di discontinuità per l’evoluzione futura di tutto un settore, quello bancario, a torto ritenuto dai più estremamente statico e conservatore ma che sta investendo risorse importante in innovazione e nuove tecnologie.