Il valore della vecchiaia, che i latini definivano “senectute”, costituisce una delle grandi questioni morali e sociali delle civiltà del nostro tempo. Purtroppo, però, la società in cui viviamo, sovente connotata dalla frenesia fa sì che, a volte, con l’arrivo della cosiddetta “Terza età” o “Quarta età”, le persone entrino in una sorta di cono d’ombra, forse determinato dalle condizioni di salute più cagionevoli e dalla fragilità. Tutto ciò però, in realtà, costituisce l’espressione di una sorta di pregiudizio nei confronti delle persone più avanti con gli anni che, con un termine poco piacevole di derivazione inglese potremo definire “ageismo”, ovvero l’assurdo pensiero che, coloro che sono anziani, non hanno più capacità di decisione autonoma e/o indipendente della propria vita a causa del venir meno delle proprie forze fisiche.
Serve un cambio di paradigma: di fronte ai grandi cambiamenti sociali e all’emergere di nuove fragilità sociali che costituiscono una grande sfida per le società contemporanee, occorre che, gli anziani, vengano tutelati in misura sempre maggiore e messi al centro di ogni decisione riguardante il nostro futuro. Essi sono i depositari della storia delle nostre comunità e della saggezza che, dopo la Seconda guerra mondiale, ci ha permesso di dare il via al miracolo economico e sociale che ci ha fatto diventare una grande potenza economica. Alla luce di ciò, pertanto, ognuno di noi, ha il dovere morale, di prendersi cura di queste persone, attraverso un sistema di welfare all’altezza e una società che, focalizzandosi su un avvenire migliore, promuova il dialogo intergenerazionale sulla base della fraternità.