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Il giubileo dei diaconi: chi sono e cosa fanno

Il Giubileo ha una giornata speciale per i diaconi, a dimostrazione di quanto sono importanti per la Chiesa. Ma cosa significa essere un diacono?

Questa domanda oggi è più che mai sulle labbra e nel cuore di tanti nella Chiesa. Senza tornare sulla storia del diaconato, che è stato reintrodotto con il Vaticano II, provo a dire alcuni pensieri che sono corroborati anche da convegni e corsi di teologia a cui ho partecipato.

Il diaconato oggi è una vocazione che sta fiorendo nella Chiesa, pensata dai padri conciliari per supplire alla mancanza di vocazioni sacerdotali è diventata più realmente risposta al bisogno di donarsi a Dio dei tanti che sentono quell’inquietudine.

Purtroppo ancora oggi c’è la tendenza a paragonare/confrontare le due chiamate, cioè al sacerdozio e al diaconato, come se l’una facesse ombra all’altra o se peggio ancora, l’una impedisse all’altra di esprimersi.

Sacerdozio e diaconato vivono dentro il sacramento dell’ordine e sono due realtà che danno pienezza al volto misericordioso di Gesù. Mentre il sacerdozio in forza dei due millenni di storia conosce chiaramente quali sono le ministerialità che lo contraddistinguono, ma oggi si scopre in crisi, il diaconato ha avuto alterne vicende nella millenaria storia della Chiesa, per cui ancora ci si domanda cosa un Diacono possa fare.

Mi pare che una evidenza possa venirci in aiuto e cioè il tantissimo spazio di evangelizzazione in questa società secolarizzata che pare aver dimenticato le sue radici, mentre, grazie a Dio non ha assolutamente abbandonato la ricerca del senso della vita.

Ecco allora che il diacono di oggi alla sequela del diacono Filippo si può muovere con disinvoltura dentro le contraddizioni della nostra cultura per essere missionario di quell’amore che il Padre con la nascita di Cristo ha voluto dimostrare ai suoi figli.

I diaconi per condizione sono infatti sposati, lavoratori, soggetti agli stessi problemi di qualsiasi famiglia. Oggi vengono sentiti più vicini alla gente, non perché i sacerdoti non lo siano ma perché avvertiti come meno istituzionali.

Per questo motivo i diaconi possono costruire ponti tra la gente e la Chiesa, essere cioè fermento vivo in tutti i luoghi nei quali operano.

I coniugi Cinzia e Davide Carroli (per gentile concessione)

La mia vocazione al diaconato viene da lontano. Sono infatti stato testimone dell’ordinazione diaconale di uno dei primi diaconi della diocesi di Rimini, nonché membro della Comunità Papa Giovanni XXIII, Pino Pasolini. Vivevo da lui il mio servizio civile come alternativa al servizio militare in quanto obbiettore di coscienza. La sua testimonianza è stata la miccia che ha acceso in me la domanda che è rimasta sopita per molto tempo, poi dopo sposato e dopo esser diventato padre mi sono finalmente abbandonato alla volontà di Dio. Fatto il debito discernimento assieme a mia moglie, con il padre spirituale e con  gli strumenti che la comunità ci dà, abbiamo chiesto a don Oreste se ci formava. La sua risposta è stata entusiasta, ma era necessario passare anche attraverso la formazione diocesana, per questo motivo gli anni di formazione sono raddoppiati perché oltre a quelli vissuti con lui è stato necessario vivere anche quelli canonici della diocesi. Sempre di più nelle diocesi si va delineando la decisione di accettare candidature al diaconato che vengano dalle comunità parrocchiali di appartenenza. Credo che il diaconato, come il sacerdozio, abbia anche una sua strada particolare.

Qualche anno fa il vescovo di Rimini ha affidato a me e mia moglie Cinzia la responsabilità pastorale della nostra parrocchia, in seguito alla decisione del parroco di allora, di andarsene.

Abbiamo vissuto sulla nostra pelle il constatare che la Chiesa ha bisogno di tempi lunghi per accogliere le novità e le intuizioni dello Spirito. Siamo partiti condividendo ciò che eravamo, diventando padre e madre della parrocchia e dei parrocchiani, fratelli disponibili a mettersi al fianco delle famiglie, aprendo le porte della casa-famiglia ai numerosi incontri legati alle varie attività pastorali.

È stato un tempo in cui siamo stati invasi dai numerosi impegni, guardati con curiosità e osservati con una sana diffidenza iniziale. Sono stati attivati nuovi percorsi legati al cammino dei gruppi giovani, del gruppo delle famiglie e di nuove modalità di fare catechismo. Abbiamo scelto di non concentrarci sulle attività da fare, piuttosto invece sullo stile da vivere la dimensione di Chiesa locale.

Abbiamo scelto di essere chiesa domestica, improntando le attività sui tempi e modi delle famiglie dove il fare parte dal rispetto di ogni peculiarità (genitori preoccupati, figli in difficoltà, anziani bisognosi). I nostri figli e tutta la casa famiglia, dobbiamo dire con una bella maturità, hanno portato con noi il peso di quella responsabilità, spesso dovendo dividere tempi e spazi della casa-famiglia con attività parrocchiali. Ci siamo sentiti sostenuti in ogni momento dai nostri figli, che hanno scelto con noi, ognuno a modo proprio, questo nuovo impegno diocesano.

Le attività specifiche del diacono si possono dividere in due piani. Uno legato più alle impegno pastorale e liturgico, l’altro legato alla dimensione profetica di questo ministero.

Sul piano liturgico e pastorale il diacono ha come limite esclusivo il non poter celebrare messa con la consacrazione e la confessione. Appartiene al diacono il poter celebrare il Battesimo, le nozze e il il rito delle esequie, tenere incontri sul vangelo, animare liturgie penitenziali, via Crucis etc.

La dimensione che riteniamo profetica appartiene al farsi prossimo all’uomo in tutte le dimensioni ordinarie dove il diacono può portare la parola del vangelo, come negli ospedali o nell’accompagnare la famiglia al cimitero per l’ultimo saluto di un caro. In aggiunta il diacono porta la bella notizia del vangelo nei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, nelle scuole, nei locali.

Le varie occasioni  di incontro ordinario e quotidiano permettono al diacono di incontrare le fatiche e le sofferenze di tante famiglie, come il dramma della mancanza di case, di un lavoro stabile…essendo inserito nell’ordinario equilibrio tra la vita politica e la società.

Il diacono è chiamato a far sentire la voce degli ultimi in ogni istituzione e anche se non gli è permesso fare politica attiva, questo non significa che non debba aiutare i piccoli e i poveri a far valere i propri diritti, a tutelare le persone fragili, a battersi perché ci possano essere uguali diritti per tutti. Questo fa si che la Chiesa possa sempre di più essere avvertita come prossima e non come istituzionale.

L’articolo è stato realizzato dai coniugi Cinzia e Davide Carroli

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