Giornata del Mar Mediterraneo: l’aspetto di cui non si parla mai

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L’8 luglio è la Giornata del Mar Mediterraneo, istituita nel 2014 per aumentare la consapevolezza sullo stato di salute del mare Nostrum e sui pericoli che minacciano la biodiversità. Un mare, il nostro, assolutamente unico: l’acqua proveniente dall’Oceano Atlantico entra ed esce dal Mar Mediterraneo attraverso lo Stretto di Gibilterra. Le correnti più calde viaggiano più superficiali, le correnti più fredde viaggiano a profondità maggiori. La mancanza di altri sbocchi verso l’esterno rende molto lungo il ricambio: occorrono circa cento anni perché una goccia d’acqua lo attraversi tutto. La temperatura media è più elevata di quella degli oceani (e non sempre è un bene) ma la capacità di diluizione delle tossine è ridotta. Ciò nonostante, il patrimonio di biodiversità marina del mare Nostrum è immenso.

Basti pensare che pur avendo una superficie pari a circa l’uno per cento di tutti gli oceani, è uno dei mari più ricchi di biodiversità: ospita tra il 4 e il 18 per cento della biodiversità marina globale. Le acque costiere poco profonde ospitano specie rare ed ecosistemi sensibili, le acque profonde specie uniche. Un mare “speciale” con un ecosistema estremamente fragile. Molte le specie rare a rischio estinzione e i rischi legati all’eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche, alle trivellazioni, al traffico merci e umano (che nell’ultimo periodo hanno registrato un’impennata senza precedenti). Tutta l’area è caratterizzata da profondi cambiamenti: demografici, sociali, culturali, economici e ambientali. La crescita della popolazione, combinata con quella dei centri urbani costieri causa stress ambientali sugli equilibri del mare Nostrum. Non solo per l’aumento della domanda di risorse idriche ed energetiche, ma anche per l’inquinamento atmosferico e quello legato allo scarico delle acque reflue e per la produzione di rifiuti. Dal momento che alcune delle sue correnti più forti si muovono da occidente a oriente, è la zona orientale quella più a rischio.

Una situazione di stress nota da decenni: già nel 1975 le Nazioni Unite lanciarono il MAP, il Piano d’azione per il Mediterraneo per promuovere la collaborazione regionale per combattere l’inquinamento marino e favorire una pianificazione integrata e l’uso sostenibile delle risorse marine. All’interno del MAP un ruolo fondamentale è ricoperto dalla Convenzione per la Protezione del Mar Mediterraneo dall’Inquinamento (comunemente detta Convenzione di Barcellona): firmata il 16 febbraio 1976, è entrata in vigore il 12 febbraio 1978. Da allora molti i cambiamenti. Ben sette i protocolli aggiuntivi. Nel 1995, il MAP è stato diventato il “Piano d’azione per la protezione dell’ambiente marino e lo sviluppo sostenibile delle aree costiere del Mediterraneo”. La stessa convenzione di Barcellona ha cambiato nome (e contenuti): è diventata la “Convenzione per la protezione dell’ambiente marino e del litorale del Mediterraneo”. Col tempo il numero dei paesi firmatari della Convenzione di Barcellona è aumentato. Oggi le parti firmatarie della convenzione di Barcellona sono 22: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Cipro, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Italia, Libano, Libia, Malta, Monaco, Montenegro, Marocco, Slovenia, Spagna, Repubblica araba siriana, Tunisia, Turchia e Unione europea. Nel 1996 è stata istituita la Commissione mediterranea per lo sviluppo sostenibile (MCSD), il cui scopo è assistere i paesi aderenti ad integrare le questioni ambientali nei programmi socioeconomici e promuovere politiche di sviluppo sostenibile in questa regione. Nel 2008, è stata adottata una “visione” basata sull’ecosistema per un Mare e una costa del Mediterraneo sani e produttivi.

Per proteggere il Mar Mediterraneo sono stati prodotti tantissimi “documenti”. La Strategia a Medio Termine MAP (MTS 2016-2021) e la Strategia Mediterranea per lo Sviluppo Sostenibile (MSSD) 2016-2025: dovrebbero fornire un quadro politico strategico per garantire un futuro sostenibile per la regione mediterranea coerente con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Nel 2019, durante i lavori della COP21, è stata adottata la Dichiarazione Ministeriale di Napoli che indicava il 2020 come un “punto di svolta critico per la conservazione e la gestione sostenibile del Mar Mediterraneo e delle coste” e sottolineava la “necessità di un cambiamento sistemico supportato da strategie, politiche e comportamenti lungimiranti e innovativi”. La Dichiarazione Ministeriale di Napoli. Il Protocollo del 1976 per la prevenzione dell’inquinamento del Mar Mediterraneo causato dallo scarico di rifiuti da parte di navi e aeromobili (aggiornato nel 1995. Il Protocollo LBS del 1980 per la protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine tellurica (modificato nel 1996).

Il Protocollo del 2006 per la protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento provocato da fonti e attività terrestri. Il Protocollo ZPS/BD relativo alle zone protette, sostituito, nel 1995, dal Protocollo relativo alle zone specialmente protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo. Nel 2002 è stato aggiornato anche il Protocollo sulla prevenzione e le emergenze,  relativo alla cooperazione nella lotta contro l’inquinamento del Mar Mediterraneo provocato dagli idrocarburi e da altre sostanze nocive. Il cosiddetto Protocollo offshore del 1994 per la protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale e dei fondali marini e del suo sottosuolo. Il Protocollo del 1996 sulla prevenzione dell’inquinamento del Mar Mediterraneo dovuto ai movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e al loro smaltimento. Il Protocollo GIZC del 2011 sulla gestione integrata delle zone costiere nel Mediterraneo. Nel 2022, infine, è stata adottata la strategia a medio termine (MTS) dell’UNEP/MAP per il periodo 2022-2027 articolata in sette programmi.

Una montagna di “carte”, accordi, trattati, convenzioni e protocolli che non sono serviti a nulla. Lo stato del Mar Mediterraneo è preoccupante: le sue acque si stanno scaldando più velocemente di altre e i pesci sono soffocati dai rifiuti plastici e da microplastiche. Il Mar Mediterraneo è pari ad appena l’uno per cento degli oceani del mondo, eppure contiene il 7 per cento delle microplastiche. Una situazione che peggiora giorno dopo giorno e che per buona parte è colpa dell’uomo. Molti dei pericoli per il Mar Mediterraneo non derivano dai cambiamenti climatici o dalla sua naturale fragilità,  sono il risultato della cattiva gestione. Di un mondo che non vuole rinunciare ai guadagni economici a breve termine anche a costo di distruggere per sempre un patrimonio naturale inestimabile. A poco sono serviti le decine di accordi internazionali o gli appelli di studiosi e ricercatori: nell’ultimo decennio, la scoperta di potenziali fonti di idrocarburi hanno scatenato una nuova corsa alle risorse sottomarine, con paesi come Egitto, Cipro, Grecia e, soprattutto, Israele che si sono già attivati per sfruttare i ritrovamenti.

Con il petrolio sono aumentate le guerre. Il Mar Mediterraneo non sembra più il mare Nostrum ma un campo di battaglia. Turchia, Egitto e Israele hanno aumentato i propri effettivi militari in mare. La Russia ha condotto diverse esercitazioni navali nel Mar Mediterraneo. E gli Stati Uniti, specie da quando è iniziata la strage di palestinesi a Gaza, son sempre più presenti al largo delle coste lungo la Striscia di Gaza. Perfino Iran e Cina pare stiano pensando di utilizzare il mare Nostrum per le loro navi da guerra (il primo dal porto di Latakia, in Siria, la seconda controllando diversi porti mediterranei, tra cui il Pireo). Ormai il mare Nostrum non è più dei paesi che si affacciano su questo bacino.

A pagare il prezzo di tutto questo è l’ecosistema, il patrimonio legato alla biodiversità: “I cambiamenti climatici e le attività antropiche hanno avuto un impatto profondo sul Mar Mediterraneo” ha detto Stefano Lelli, esperto della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (GFCM). Inquinamento, tropicalizzazione dell’ambiente e cambiamenti climatici stanno causando la scomparsa di decine di specie tipiche del Mar Mediterraneo. Secondo l’ultimo report di MedReAct, entro la fine di questo secolo, decine le specie che potrebbero sparire per sempre. Tasselli fondamentali per la sopravvivenza di un equilibrio delicato tra organismi che abitano il mare e l’ambiente.

Già, perché uno degli aspetti di cui non si parla mai, nemmeno in occasione della Giornata mondiale del Mar Mediterraneo, è che il mare (non solo il mare Nostrum ma nel suo complesso) ha un ruolo fondamentale su tutto l’ecosistema globale: produce il 50 per cento dell’ossigeno, assorbe un terzo dell’anidride carbonica e regola il clima. Ma di tutto questo non sembra importare a nessuno.