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La gentilezza: qualcosa di grande che si rivela nei piccoli gesti

Foto di Adam Nemeroff su Unsplash

Il 13 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata della Gentilezza, un’occasione preziosa per riscoprire il valore di questa qualità umana che riesce ad unire le persone, a fare del bene e a favorire la crescita personale di ciascuno di noi. È una festa internazionale istituita nel 1998, con l’obiettivo di promuovere la gentilezza in tutto il mondo e si celebra nell’ambito delle iniziative del Movimento Mondiale della Gentilezza. La data coincide con la giornata d’apertura della Conferenza del “World Kindness Movement” svoltasi a Tokyo nel 1997, al cui termine ci fu la firma della Dichiarazione della Gentilezza. Lo scopo principale della Giornata mondiale della gentilezza è, secondo il “World Kindness Movement”, quello di “mettere in evidenza le buone azioni nella comunità concentrandosi sul potere positivo e sul filo comune della gentilezza che ci lega”.

Mi fermo un attimo a pensare alla gentilezza e penso a quante persone nel mondo ne sono testimoni. Quanti sorrisi, quante carezze, quanti sguardi, quanti abbracci, quanta attenzione all’altro… Sarebbe bello se esistesse una maggiore eco (anche dei mass media) dei “luoghi” interiori ed esteriori della bellezza. Dovremmo insistere e scrivere e parlare maggiormente di cosa si intenda quando si fa riferimento all’educazione, al galateo, al buon senso, all’attenzione all’altro, al rispetto per l’altro. La gentilezza si rivela qualcosa di grande che si rivela nei piccoli gesti quotidiani, quelli che a volte diamo per scontato, che non hanno eco mediatica ma risuonano nell’animo di chi ne usufruisce.

Bellissimo in tal senso è il passo di Serena Zerbini: “Egr. Direttore della Piazzetta qui sotto, nella mia ormai decennale compagna di quotidiane e tristi frugali pause pranzo, per la prima volta nell’intera mia vita, senza stizza sento il bisogno di scrivere un reclamo, un lamento. Mi preme tutto l’obbligo, come socia, cittadina e anche solo come essere vivente, di segnalarle la condotta di una sua dipendente. Si tratta di una bella donna, dai capelli neri e gli occhi chiari, cristallini, affilati e sinceri come cocci azzurri di azzurrissimi bicchieri. Ebbene lei, alle tredici e quaranta circa dei miei giorni feriali, quando la mia faccia si trascina già stanca in mezzo ai vostri infernali scaffali, ha sempre una parola, un sorriso, una fiamma sul viso, gesti leggeri e segretissime malinconie, travestite da allegrie, un po’ come le mie. Oggi, per esempio, mentre apriva – atto non dovuto – sacchetti che invece io non so mai aprire, con un garbo tra le mani leggere, di magia, di mestiere che non so neanche dire; mentre faceva passare i carciofi lungo il rullo nero, tanto somigliante al mio nero, nero pensiero, mi ha guardata, ha sorriso, come a darmi un riposo o così mi è sembrato e allora gliel’ho detto che non c’era una persona in tutte le Coop in questo modo come lei e lei mi ha detto che si commuoveva a dirle così e così ha fatto, perché una lacrima le è scesa dalle ciglia, le ha tagliato la guancia e poi tutto il sorriso; ha provato a fermarla con la mano ma ancora è scivolata, lunga dal suo al mio pianto e ancora è precipitata lungo questo reclamo, come se non glielo avesse mia detto nessuno.”

La gentilezza è proprio così: una parola, un sorriso, una fiamma sul viso, gesti leggeri e segretissime malinconie travestite da allegrie. Difficile trovare una definizione migliore a mio avviso. La gentilezza è nel sorriso. Ce lo ricorda anche la poesia “Sorriso” di Alda Merini; la celebre poetessa ci ricorda che il nostro sorriso ha il potere di diffondere amore e gioia, di essere come “un bacio di mamma, un battito d’ali, un raggio di sole per tutti.” È vero, un sorriso, così come un gesto di gentilezza possono influenzare positivamente la vita delle persone che incontriamo. C. Rogers, famoso psicoterapeuta, ha sempre incentrato la sua convinzione nella dimensione umana della cura, ponendo tra i capisaldi la gentilezza, modo normale e speciale che accoglie l’altro, che non è giudicante, che mette a proprio agio l’interlocutore, che favorisce un’interazione sana ed è propedeutica ad una relazione produttiva e costruttiva. Se poi la gentilezza è inaspettata, diviene un agente potente e funzionale al cambiamento umano. Essere gentili è un valore e ha valore! I modi cortesi attirano le persone e sono apprezzati da tutti, sia sul piano pratico (quotidiano, nel campo degli affari, nel commercio, ecc.), sia su quello spirituale. Il greco “Chréstotes”, reso in italiano con la parola gentilezza, contiene una molteplicità di significati: non volere causare agli altri ferite o dolore; essere disponibili verso chi è nel bisogno e soprattutto verso i poveri e gli indifesi; essere cortesi nei modi. Oltre al significato di cortesia che noi attribuiamo al termine, nell’originale greco è implicito quello della spinta interiore ad adoperarsi per gli altri.

Se riuscissimo ad essere meno individualisti, saremmo in grado di aprirci alla gentilezza. Spostare lo sguardo dall’Io al Tu richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del mero donarsi. Si può dare senza donarsi, ma se si guarda davvero l’altro, lo si può incontrare in profondità, ci si può donare davvero e la gentilezza può rischiare di non essere più una scelta ma un modo di essere. Diviene, così, ab acto ad habitum, da un semplice atto ad un abito, che portiamo con noi senza il bisogno di cambiarlo perché costitutivo della nostra essenza. E allora in questo habitum incontriamo il bene, ne facciamo esperienza all’interno di noi stessi espandendolo alla persona che incontriamo, dando il via a piccoli gesti che spesso possono essere testimonianza per alcuni, inizio di mutamento per altri. Son gesti che segnano. Ne esistono tanti. Ci sono, ad esempio, sguardi che modificano alcune giornate, ci sono abbracci che modificano l’umore, ci sono gesti che cambiano letteralmente una vita. In tali gesti non può mancare la gentilezza in quanto essa è essenza di un modus che qualcuno scambia per compiacenza, debolezza, servilismo e che invece ha in sé una bellezza che potremmo provare a riscoprire già a partire da oggi. Sì, anche in questo mondo che ci appare stanco e immerso in guerre di ogni tipo. Si tratta di scegliere se essere umani o no. Per esserlo bisogna ritornare ad amare. La gentilezza è un’espressione alta d’amore. Dante ci ricorda: “Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende”, ovvero l’amore, che divampa in un attimo nel cuore gentile, è una forza potentissima, che supera la volontà dell’individuo e vince tutte le resistenze. Si apre alla bellezza che valica ogni confine. Siamo disposti a tale coraggio? Essere gentili oggi è difficile. All’inizio di ogni nostra giornata, facciamo colazione con i gesti che appartengono al cuore, vestiamoci di quell’ habitum che ci ricorda del nostro essere umani e fratelli. Allora sì che potremo vivere relazioni piene, capaci di lasciare il segno in noi e nell’altro. Che gentilezza sia allora: ab acto ad habitum!

Prof. Alfredo Altomonte: