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Quella frattura che rischia di compromettere la sopravvivenza dell’esecutivo

L’immagine di una giornata particolare, e lo è stata davvero, sta tutta qui. Negli esponenti del Pd che alzano le braccia, come ad arrendersi. Perché dopo le punture di Maria Elena Boschi, le sparate di Matteo Renzi, le strambate dei presunti esponenti ribelli del Movimento 5 Stelle, le sceneggiate di una parte dell’opposizione, è arrivato l’ok alla riforma del Mes. Però i numeri per destinare quei fondi Ue alla sanità non ci sono e non ci saranno, una parte della commedia è stata rispettata. E, per fortuna dei rosso-gialli, la ratifica della riforma del Mes non avverrà in Parlamento prima di marzo, dunque ci sarà il tempo per il Movimento 5 stelle per cercare di ricomporre una frattura che, al di là dei numeri più esigui rispetto alla lettera firmata da 56 parlamentari, rischia di compromettere l’unità del Movimento ma anche la sopravvivenza dell’esecutivo.

Al Senato l’asticella si è fermati a a 156 sì. Non erano necessari i 161, ma si tratta (al netto di alcune assenze sia tra i dem che nel Movimento 5 stelle) comunque di un segnale. Il rischio insomma è che nei passaggi decisivi, a partire dalla legge di bilancio, non ci sia una vera maggioranza politica. Per di più le fibrillazioni sul “Recovery plan” sono destinate a durare. Niente Cdm e non ci dovrebbe essere un chiarimento neanche in prossimità del ritorno del premier dal Consiglio Ue.

Conte che ha lanciato un appello alla maggioranza alla condivisione, ha avuto un mandato sulla riforma del Mes ma non ha il via libera sulla task force sul “Recovery” ipotizzata qualche giorno fa. Il premier, raccontano nel governo, è disponibile al pari di Gualtieri a ritoccare il decreto, a modificare l’impianto, a patto che ci sia comunque una struttura snella e con un coordinamento. “Perché”, spiega una fonte dell’esecutivo che ‘sponsorizza’ lo schema contiano, “l’Italia dovrà comunque anticipare quei soldi che poi arriveranno dall’Europa. Se non li spendiamo bene rischiamo di perderli e non ce lo possiamo permettere”.

La mediazione che Conte e Gualtieri hanno messo sul tavolo è quella di limitare i poteri in deroga a casi eccezionali e di far passare ogni decisione dal Consiglio dei ministri. Ma i riflettori del Senato erano puntati anche sul leader di Italia Viva, Matteo Renzi. Era atteso il suo intervento in replica alle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. E non ha deluso. “Noi siamo ancora in emergenza sanitaria e ci mettiamo a discutere di 300 consulenti? Io non lo so perché l’ha fatto. Sentendo tutti i colleghi degli altri partiti, sono tutti impressionati e basiti da questa scelta. Poi è chiaro che l’unico che tutte le volte ci mette la faccia in modo tosto sono io, rispetto agli altri partiti. Questo è un dato di fatto”, dice il leader di Iv . Che potrà anche avere ragione, resta il problema dei tempi e dei modi. Perché ora e perché cosi? Tante le risposte, tutte plausibili. Di sicuro Renzi è uno che sta stare sul filo del rasoio. E la politica, quando il prezzo è la visibilità, impone questo ed altro.

Rimandata, invece, la resa dei conti in casa 5 Stelle, ma per i frondisti del Movimento d’ora in poi non sarà vita facile. I pentastellati non escono dilaniati dal voto sul Mes, ma sicuramente ne escono ridisegnati. I due voti contrari al Senato e 13 alla Camera rappresentano un buon risultato rispetto a totale iniziale di 58 dissidenti, ma è sempre un voto contrario all’operato di Giuseppe Conte, del quale Renzi vuol trarre vantaggio. Da qui la grande azione di disturbo per alzare la posta in palio.

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