Ringraziamo il Santo Padre per “Fratelli tutti”, un disarmante sguardo sul nostro mondo, un grido gravido di passione per Dio e per l’uomo. L’Enciclica è venata di speranza cristiana, interpella l’offerta di un nuovo amore per l’uomo, per la sua dignità inalienabile, non commerciabile o cantierabile dentro disegni opposti al volere divino, sempre integrale e trascendente. Un amore grande, che supera barriere e confini, che non può essere in recessione perché non è in crisi lo Spirito Santo, la Sua effusione di risorse vitali, che abitano nel cuore di ogni uomo, di ogni razza, fede e cultura, e rendono possibile e praticabile la parola fraternità.
Grandi ideali si rincorrono e venano questa Enciclica sociale, che è esegesi spirituale globale ancora più ampia della precedente “Laudato si’”, a significare una “visione” universale di rinnovamento del nostro tempo, che esige risposte planetarie a grandi questioni universali ancora irrisolte. Per questa ragione “Fratelli tutti” ha, inscritta nella sua indole, una vocazione che travalica i confini visibili della cattolicità, della cristianità e si pone come una “agenda ragionata” interculturale e interreligiosa, che interpella tutti, laici e laicisti inclusi. “Tutti fratelli”, nella disponibilità a ricentrarci su ciò che ci costituisce “fratelli in umanità”, accomunati dal primo e comune destino che è quello di “abitare la terra”, in un regime di giustizia e di pace per tutti.
Papa Francesco, come i grandi leader della storia, si conferma “uomo di visione”, capace di “sognare a occhi aperti, perché capace di un grande amore” (Santa Teresa di Calcutta). Oggi, in Occidente e in Oriente, constatiamo una reciproca sfida tra culture, religioni e diritti umani, sia nei contesti delle relazioni tra Stati che delle comunità intermedie. Il Papa ci ricorda che stiamo vivendo un processo storico di globalizzazione irreversibile; urge, pertanto, avere coscienza – i decisori politici innanzi a tutti – di essere partecipi di un comune destino d’interdipendenza mondiale. Molti politologi avevano previsto per il XXI secolo uno “scontro tra le civiltà”; a noi, ricorda Francesco, spetta contrapporre una realistica visione di speranza, una cultura della misericordia che intanto si muova nella reciproca considerazione delle fedi e religioni che sono nel mondo, perché promuovano e incarnino una “nuova alleanza” in favore dell’uomo. Le fedi e le religioni possono contribuire a evitare un simile scontro, se mossi da quattro convinzioni:
- non c’è pace fra le nazioni senza una pace fra le religioni;
- non c’è pace fra le religioni senza dialogo tra le religioni;
- non c’è dialogo fra le religioni senza un modello etico-spirituale globale a fondamento delle relazioni tra uomini;
- non c’è un modello etico-spirituale globale a fondamento delle relazioni tra uomini senza porre al centro l’uomo e i suoi diritti nativi, l’uomo e la sua dignità inalienabile, integrale e trascendente.
Nessun diritto umano è al sicuro se non ci s’impegna a tutelarli tutti! Quando si accetta, senza reagire, la violazione di uno qualsiasi dei diritti umani fondamentali, si pongono a rischio tutti gli altri. É indispensabile, pertanto, un approccio globale al tema dei diritti umani, della solidarietà internazionale, dell’inclusione sociale dei soggetti impoveriti da un uso improprio e ingiusto delle risorse umane e naturali, a partire da un serio impegno a loro difesa. Solo quando una cultura dei diritti umani, rispettosa delle diverse tradizioni, diventa parte integrante del patrimonio spirituale e morale dell’umanità, allora si può guardare con serena fiducia al futuro. Come potrebbe esservi guerra, se ogni diritto umano fosse rispettato?
L’osservanza integrale dei diritti umani è la strada più sicura per stringere relazioni solide tra le religioni, tra i popoli e tra gli Stati. La cultura dei diritti umani non può che essere “cultura di pace”, che investa le coscienze mediante la collaborazione di ogni forza sociale, di tutti i corpi intermedi, degli ambiti accademici, dei movimenti religiosi. Perché tutto questo accada, il Papa lo ricorda con forza, serve una “discontinuità generazionale”: la necessità di coinvolgere in prima istanza i giovani, una nuova generazione di leader, perché siano sempre più capaci di interpretare questa stagione di cambiamenti e di trasformazioni che sta profondamente segnando la nostra epoca.
I giovani possono, devono essere i nuovi interpreti di una stagione d’incontro, di dialogo e di convivenza pacifica tra i popoli, i nuovi protagonisti della tutela delle nostre comunità. I giovani devono essere gli interlocutori privilegiati della nostra azione politica e culturale a tutela delle comunità religiose e della libertà di professare la fede. Un’azione verso la quale l’Italia e l’Europa sono naturalmente portate, nonostante tutti i tradimenti di memoria e d’identità cristiana, alla luce della nobile tradizione di promozione e di difesa della persona umana che ancora contraddistingue la nostra cultura umana, quell’umanesimo spirituale generato dal Cristianesimo. Ringraziamo ancora Papa Francesco per l’Enciclica “Fratelli tutti”. Il RnS si impegna ad approfondirla, a diffonderla, ma soprattutto a farla divenire causa di rinnovamento dei nostri stili di vita, dei nostri ideali, della nostra missione.