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Frana a Ischia: perché gli insegnamenti del passato non sono serviti a molto

In questi giorni si fa un gran parlare dell’emergenza Ischia. La prima riflessione è la definizione di “emergenza”. Secondo alcuni, sarebbe “uno scostamento dalle normali condizioni di vita o di lavoro che può causare danni a cose e/o persone”. Un cambiamento che si può manifestare in molti modi, come incendi, terremoti, incidenti industriali, eventi catastrofici oppure frane e smottamenti.

Eventi come quello avvenuto a Ischia, causato da quello che alcuni hanno definito “una tremenda ondata di maltempo ciclonico” che ha provocato una frana di acqua e fango che si è abbattuta sulle abitazioni causando morti, feriti, sfollati e danni enormi. Immediata la risposta del governo. La premier Meloni ha seguito l’evolversi delle attività di soccorso dalla sede della Protezione Civile e ha convocato un Consiglio dei ministri d’urgenza per la dichiarazione dello stato di emergenza per l’isola (con relativo stanziamento di somme per coprire almeno parte dei danni). Il Governatore della Campania, Vincenzo De Luca, dal canto suo, ha annunciato che “La Regione [Campania] ha stanziato 4 milioni di euro per far fronte alle più immediate esigenze relative alla frana di Ischia. Valuteremo, insieme con i Comuni dell’isola interessati, ulteriori esigenze nell’ambito del programma di messa in sicurezza e ricostruzione del territorio, oltre che per assicurare servizi adeguati alle famiglie sfollate e ospitate in ricoveri provvisori”.

“Urgenza”, “emergenza”, “evento straordinario” sono le parole più usate nei notiziari. Pochi hanno detto che quello di Ischia non è una “emergenza” ma solo l’ennesimo disastro annunciato. I tecnici, i geologi lo ripetono da anni: il territorio ischitano (come del resto molte altre zone d’Italia) è fragile e fortemente soggetto al rischio idrogeologico e al rischio sismico. La storia lo dimostra. Nel 1883, un terremoto sconvolse Casamicciola (proprio dove si sono verificati i danni nei giorni scorsi). All’inizio del secolo scorso, un altro evento colpì l’isola: il 24 ottobre 1910, su Ischia si verificarono forti precipitazioni che causarono smottamenti e danni ingenti. I giornali del tempo non ebbero remore e indicarono le cause di quella tragedia. Prima di tutto le precipitazioni copiose: i pluviometri avevano segnalato una quantità di acqua straordinaria e aveva continuato “a piovere a ciel rovescio” per sei ore; e poi una “insufficiente incanalazione” che aveva impedito una corretta gestione dei flussi; “causa non ultima né trascurabile il diboscamento”, scrissero i giornalisti de “La Vedetta del golfo” il 10 novembre 1910.

Lo scorso anno anche i dati del Rapporto ISPRA sul dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio – Edizione 2021, avevano segnalato che “le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria”. Secondo i ricercatori di ISPRA il 93,9% dei comuni italiani (7.423) sarebbe a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. E molte delle persone che vivono in questi territori sono in pericolo: 1,3 milioni di abitanti sarebbero a rischio frane e 6,8 milioni a rischio alluvioni. “Le famiglie a rischio sono quasi 548.000 per frane e oltre 2,9 milioni per alluvioni”. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, “quelli ubicati in aree inondabili nello scenario medio sono oltre 1,5 milioni (10,7%)”.

Insegnamenti che non sono serviti a molto. E che non sono bastati per far capire alle autorità locali e centrali e alla popolazione che non si tratta di eventi “straordinari” né di “emergenze”. Una situazione che i geologi conoscono bene: Giampiero Petrucci, dopo la disgrazia, ha ricordato quanto la storia del territorio ischitano sia costellata di “emergenze” come questa: nel 1228, nel 1883, nel 1643 quando il fango sommerse le sorgenti termali di Casamicciola a seguito di forti precipitazioni. E poi ancora nel 1978, nel 2006 e nel 2009. Sempre le stesse le cause di queste “emergenze”: dall’incuria del territorio al disboscamento selvaggio fino alla cementificazione, spesso abusiva. Ogni volta, queste “emergenze” hanno presentato un conto pesante in termini di morti e feriti. “Insegnamenti” che non sono serviti a nulla: poco è stato fatto per mettere veramente in sicurezza un territorio che ha sofferto più per le opere dell’uomo che per le emergenze.

I numeri del Rapporto ISPRA confermano che non si tratta di un problema che riguarda solo Ischia, ma l’Italia intera. Qui, come in buona parte del pianeta, ormai è diffusa la cultura del “dopo”. Nessuno si preoccupa di prevenire questi disastri annunciati. Si preferisce aspettare passivamente la prossima “emergenza”. Eventi sempre più frequenti: “Quello di Ischia non è un episodio limitato, ma uno degli eventi di un tipo di clima che nel prossimo futuro dovremmo mettere in conto perché la presenza dell’anticiclone si farà sempre più importante, complice la fusione dei ghiacciai polari”, ha dichiarato il colonnello Giuliacci, famoso meteorologo. “Fino al 1990 l’anticiclone che dominava in Italia era quello delle Azzorre, più mite e più piovoso. Poi l’anticiclone che è diventato via via più frequente è stato quello africano. Lo scorso anno su 92 giorni di estate, per 82 è stato presente l’africano”.

“Cambiamenti” le cui cause sono note da decenni, anzi da secoli. E che saranno sempre più frequenti anche a causa dell’incapacità di mantenere la promessa di ridurre le emissioni di CO2: alla COP27, appena conclusasi in Egitto, si è parlato di far fronte alle emergenze legate ai cambiamenti climatici. Cambiamenti che non sono “emergenze”, ma la conseguenza di politiche sbagliate di gestione del territorio. Dell’indifferenza per i danni e per le vite umane che costano “emergenze” come queste.

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