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Formazione e innovazione: la ricetta per la ripartenza post pandemia

In questi ultimi giorni, il neo ministro del lavoro Andrea Orlando ha fatto sapere ad imprese e lavoratori di voler prorogare il blocco dei licenziamenti previsto il 31 marzo venturo, rimandando  la prossima scadenza a fine ottobre per tutti i lavoratori che godono della cassa integrazione in deroga. Per coloro a cui si applica la cassa integrazione ordinaria (lavoratori di medie e grandi imprese), la nuova scadenza scivolerà per fine giugno.

Certamente le proroghe in una situazione così drammatica provocata dalla pandemia ed in vista dei piani di vaccinazioni sono sacrosante. Infatti tutti i lavoratori coperti dalla cig in deroga occupati nelle minute e minutissime aziende del terziario e della piccola industria in genere, sarebbero abbandonati a loro stessi senza alcuna fonte di reddito. Ed intanto gli ultimi dati resi noti dall’Istat descrivono la realtà a tinte fosche, ed è facile immaginare che nei prossimi mesi la situazione non potrà che peggiorare, qualora non si cambi davvero il modo di provvedere all’economia, alla valorizzazione delle migliori aziende dell’industria e del terziario, alla implementazione a dosi da cavallo delle capacità professionali dei lavoratori, innanzitutto riguardo alle loro abilità compatibili con le tecnologie digitali.

In tal senso occorre dire che è preoccupante che nessuno si stia dedicando a come riprepararci  alla imminente normalità post pandemica nell’ottimizzare la nostra capacità competitiva nell’agone del mercato internazionale. I tempi che viviamo sono caratterizzati da un cambiamento velocissimo riguardo le tecnologie impiegate nelle produzioni e conseguentemente dei necessari nuovi profili professionali.

In questa lunga congiuntura pandemica, diversi paesi nostri concorrenti non sono fermi e si stanno attrezzando in ogni modo possibile per riassorbire i danni conseguenti al fermo imposto in molti settori dal Covid, ma noi italiani stiamo pensando solo all’assistenza e non da ora, come se non avessimo né problemi di debito pubblico, né problemi di tenuta competitiva. Il numero degli assistiti ormai ha raggiunto proporzioni abnormi, tra cassintegrati di ogni genere, percettori di reddito di cittadinanza e reddito di emergenza.

In questa circostanza drammatica, la colpa più grave dei governi che si sono succeduti, è stata ed è la assoluta ritrosia ad allestire ambiti idonei in grado favorire la riprofessionalizzazione delle persone e di obbligare gli assistiti a parteciparvi, pena la perdita delle provvidenze. In un paese normale si decide di fare in tale modo, anche per evitare la pedagogia negativa di elargire il godimento di soldi non sudati e di tempi di interruzione del lavoro senza l’impiego del tempo in senso produttivo.

Credo che gli aspetti sottolineati sono tra i più importanti da affrontare, se si dovesse cambiare sarebbe il segno più evidente che nel paese davvero qualcosa cambia: avere attenzione per chi ha bisogno. Ma per sostenere l’assistenza a favore di chi in quel momento ha bisogno è necessario un sistema produttivo efficiente e competitivo per raggiungere standard di buona economia. Dunque governo e parti sociali devono concertare soluzioni al tema spinoso di non allargare ulteriormente il divario tra noi e gli altri Paesi OCSE.

Per farlo devono sostenere con criteri efficaci le aziende già capaci di fare competizione confermare i sistemi di assistenza all’unica condizione che ci si renda disponibili o a formarsi, o ad accettare impieghi proposti.

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