Ci stiamo avvicinando al 4 maggio, data dell’avvio della cosiddetta Fase 2 del lockdown con la progressiva riapertura del Paese. Le aspettative sono tante ma cosa ci si potrebbe attendere?
Innanzitutto va ricordato che l’Italia non si è fermata mai del tutto, buona parte delle aziende sono restate operative per via della loro natura come servizio indispensabile ovvero per l’impossibilità di bloccare la “macchina produttiva”, complice anche il caos dei decreti governativi che avevano fatto una prima lista basata solo sui codici ATECO che, per la natura statistica, non sono esaustivi dell’operato di un’azienda la quale, spesso, è classificata sotto più codici. Questo ha comportato che alcune imprese abbiano potuto beneficiare di questa anomalia per continuare ad operare, sotto molti aspetti fortunatamente.
Perché il termine “fortunatamente”, però? Perché con la situazione attuale si sta ipotizzando, con la bozza di Def appena approvata, un crollo del Pil dell’8% e un deficit tendenziale a oltre il 10.4%, per via delle operazioni messe in atto dal Governo e i minori introiti fiscali ipotizzati; il debito pubblico, inoltre, mostra un tendenziale al 155% a fine anno.
Sono numeri da incubo, volendo vedere, anche perché non si è vista alcuna idea per spingere la ripartenza e la ripresa. Ovvio che per il 2020 una recessione sarebbe stata fisiologica per via del “cigno nero” rappresentato dall’epidemia in atto e dalla debolezza dei fondamentali della crescita del Paese, appesantito, se servisse ricordarlo, da una burocrazia asfissiante e da un fisco rapace.
Non è un caso che nel Documento di programmazione finanziaria si indichi “il contrasto all’evasione fiscale e le imposte ambientali, unitamente ad una riforma della tassazione che ne migliori l’equità e ad una revisione organica della spesa pubblica, dovranno pertanto essere i pilastri della strategia di miglioramento dei saldi di bilancio e di riduzione del rapporto debito/pil nel prossimo decennio” che tradotto sinifica che non c’è alcuna volontà di tornare indietro sulle inutili e dannose sugar tax e plastic tax e che la mancata riforma del sistema fiscale, solamente indicata, ha già il suo capro espiatorio nella solita retorica sull’evasione fiscale.
Pure l’annuncio sulla sostenibilità del debito e del “sentiero di rientro” che sarà visibile nei prossimi anni si basa sull’illusione del moltiplicatore keynesiano senza comprendere che gli investimenti pubblici sono sì importanti, si parla delle infrastrutture, ma senza la produttività del settore privato non si va da nessuna parte e le fantomatiche risorse strutturali annunciate per l’ennesima volta (ma che nessuno ha mai visto nemmeno in bozza) non parlano mai di contenimento del fisco per lasciare più risorse agli investimenti privati.
A questo va aggiunto che le regioni più colpite dall’epidemia siano anche quelle che, di fatto, mantengono tutta la penisola: solo la Lombardia vale il 22% del PIL nazionale ma, se unita a Veneto ed Emilia Romagna, si va ben oltre il 40% e, considerati i saldi fiscali delle varie zone italiane, un rallentamento, per non dire un blocco, di queste regioni porterebbe a non avere più mezzi finanziari per sostenere il deficit delle regioni meno virtuose.
La data del 4 maggio, quindi, diventa uno spartiacque importantissimo per la valutazione della tenuta di tutto il sistema italiano, la recessione innescata e in atto, unita al blocco della produzione e della fatturazione per molte Pmi potrebbe essere fatale, nonostante il “decreto Liquidità” che, come già detto, di per suo è insufficiente al sostegno dell’economia, e da qui potrebbe originarsi una criticità a livello di produzione di ricchezza e sostegno della domanda che rischia di divenire strutturale nei prossimi anni.
Chiudere tutto, infatti, è stata un’azione che si è scontrata con un’anomalia tipica del sistema Italia, quella della sottocapitalizzazione delle aziende che le rende più vulnerabili agli shock esogeni e non prevedibili, questo unito alla forte dipendenza dal credito per operare rischia di generare un’altra ondata di crediti deteriorati (i cosiddetti NPE) che andrebbero ad appesantire ulteriormente l’industria bancaria che era appena uscita da una profonda ristrutturazione degli attivi con la pulizia dei bilanci da incagli e sofferenze.
Come si vede il quadro è fosco, sempre che con la Fase 2 non si mettano in moto dei programmi virtuosi per spingere la ripartenza. Che fare, quindi? Non servono a nulla cassa integrazione e bonus vari, se non come tampone momentaneo, come non serve a nulla un programma di credito agevolato se non accompagnati da delle riforme strutturali che devono, obbligatoriamente, andare nella direzione del “dimagrimento” dello stato, eliminando le sovrastrutture burocratiche inutili e costose in termini di tempo e di contribuzione e snellendo tutti i processi autorizzativi e di controllo, e una seria rimodulazione fiscale nel senso di una razionalizzazione dei balzelli e delle scadenze unita a un taglio shock del prelievo, partendo da quelle imposte e quei balzelli slegati dal reddito (come accise, bolli, canoni, etc.) ma, come detto prima, di queste cose nella bozza di Def non c’è nulla.
La ripartenza, poi, non sarà istantanea, anche perché è prevista, oggi, una gradualità nelle riaperture e il mantenimento di accorgimenti personali di sicurezza, quali le limitazioni di accesso ai locali e l’uso di presidi sanitari di protezione come mascherine, guanti ed eventuali divisori ancora per molto tempo. A farne le spese saranno soprattutto il settore della ristorazione e quello turistico che vedranno dei cali di fatturato e redditività assai cospicui e che andrebbero sostenuti tramite politiche fiscali ad hoc e strumenti di sostegno dei redditi del personale che, credibilmente, perderà il lavoro. Credibilmente il settore del commercio sarà quello meno colpito a fine anno anche se tutti i beni “voluttuari” avranno dei contraccolpi pesanti dal lato della domanda.
Dal lato governativo, come indicato prima, si vedono poche idee; già ce ne erano poche e confuse prima ma nel periodo post Covid 19 le cose potrebbero essere assai complicate per via di una maggioranza non certo solida e che cercherà un capro espiatorio per i problemi a venire. Ma questo sarebbe il momento di iniziare a pensare al Paese che si vorrebbe, sfruttando la flessibilità nei conti concessa dall’Europa e dagli aiuti che giungeranno, e ridisegnare la Cosa Pubblica in maniera che la ripartenza possa essere anche lenta ma inarrestabile.
Fondamentale sarà, quindi, la manovra economica di quest’anno, che si preannuncia di oltre 100 miliardi di euro, la più vasta e corposa che si sia mai vista, quindi, ma che ancora non si sa di quali capitoli sarà composta. Margaret Thatcher disse una volta “È molto bello parlare di libertà qui con voi in Italia, perché non appena libererete la vostra economia dalla burocrazia e dai sussidi nessuno saprà competere in Europa con il vostro talento” il problema è che questo scenario è ben lungi a venire.