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La famiglia e la scuola tornino ad essere le fucine dell’educazione

La Giornata internazionale contro la violenza sulle donne è, anzitutto, l’occasione di acquisire maggiore consapevolezza del valore che ha la persona umana nella sua realtà, spirituale e materiale. Profonde ragioni storiche, oltre che culturali e sociali, hanno reso fragile una componente importante della persona umana e cioè la donna. È sotto gli occhi di tutti che tale fragilità fisica – non certamente anche morale – soccombe nelle relazioni malate, come travolta da un turbine.

Le vicende e le sofferenze della vita possono innalzare anche di molto la possibilità di una perdita di controllo assoluta rispetto ai diritti e ai doveri di cui la persona umana è portatrice, primo fra tutti il diritto alla vita e alla felicità. Nessuna società, nessun gruppo, nessuna relazione affettiva, ma anche economica, politica e sociale può esistere se viene meno questo diritto, su cui ruota ogni passaggio di crescita e di sviluppo. Questo aspetto di realtà in divenire rende fondamentale per l’essere umano l’esperienza della “formazione”, di cui la scuola, insieme alla famiglia, è un attore importante. La considerazione oggettiva dei nostri tempi, al di là dei corsi e ricorsi storici, mostra un indebolimento della solidità dei rapporti e una conseguente fatica, se non rottura in molti casi, del patto educativo tra le due principali “fucine” della personalità, della struttura cognitiva e morale del giovane uomo e della giovane donna oggi: la famiglia e la scuola.

Pare azzardato pensare che una persona equilibrata possa formarsi indipendentemente dal contributo di entrambe queste realtà ed è ovvio che l’una non può giustificare totalmente la propria inefficacia sulla base del fallimento dell’altra. Occorre, per i tempi che viviamo, riconoscere la fragilità e dell’una e dell’altra, cercando di riportare al centro le vere esigenze della persona in formazione, secondo le indicazioni che le scienze umane offrono all’attenzione di menti oneste. Non è questo l’ambito di un trattato di psicologia o pedagogia, anche perchè ci sono situazioni che, come diceva Montanelli, anche il lattaio dell’Ohaio comprende essere potenzialmente pericolose per lo sviluppo di una personalità serena: la povertà, lo sfilacciamento dei rapporti, la mancanza di risorse “culturali” intese come patrimoni di buon senso e di equilibrio nelle famiglie e, nella scuola, il grave vulnus di una mancata libertà di scelta educativa da parte dei genitori, con un conseguente calo del significato e dell’interesse per una scuola di qualità, in sinergia con la famiglia: tutto questo ci appare oggi come un baratro pericoloso su cui camminiamo in bilico, cercando di resistere alla caduta nell’abisso.

I femminicidi e ogni mancanza di rispetto e di cura verso la persona, dai congiunti ai familiari, dalle relazioni affettive di ogni genere agli elementi primordiali di convivenza civile espressi magistralmente nell’antico Decalogo – non rubare, non uccidere, non violare – non possono che essere il frutto di una mancanza di formazione familiare e scolastica a cui ciascuno, nel proprio ambito, deve cercare di porre rimedio, senza pretese di esclusività, bensì di compenetrazione degli obiettivi. Gli episodi degli ultimi anni che hanno coinvolto i giovani nell’ambito delle loro relazioni tra pari (bullismo, cyberbullismo, stalking, ecc), come pure le forme di abbandono e degrado parentale che si trasformano in violenze verso i minori, stanno facendo puntare gli occhi della società sul mondo della scuola che, pian piano, rivela il suo dramma: scarsa formazione dei docenti e degli operatori, poco senso della missione particolare che richiama, scollamento con la famiglia, mancanza di autonomia effettiva per uno sviluppo degli obiettivi formativi che il mondo giovanile richiede, assenza della libertà di scelta in educazione da parte dei genitori, sulla base del piano dell’offerta formativa.

Tali e tanti sono i problemi che conviene iniziare anche solo da piccoli fili di intelligenza, sperando che da questi nasca una tessitura robusta ed efficace. Occorre anche pensare che non saranno principalmente i corsi all’affettività a risolvere i problemi e forse neppure i seminari annuali di discussione tra gli studenti delle singole classi (30 ore annue) ad estirpare gli squilibri degli alunni, a convincerli al rispetto della donna, se maschi, e comunque al rispetto tout court dell’altro in quanto tale. Sarà necessario formare persone, educatori attenti, operatori che stiano sempre in mezzo ai giovani in modo autorevole, che sappiamo affrontare le criticità relazionali in modo equilibrato: servono esempi viventi, nella scuola, di serietà e rettitudine, di collaborazione e di inventiva, ancora servono adulti dediti e appassionati che, sicuramente, in certe zone calde del Paese, saranno puntati dalla malavita organizzata che vedrà sfuggire la manovalanza dei ragazzini abbandonati dalle famiglie derivate.

Dunque, ben vengano i corsi, le discussioni plenarie, le conferenze, ben vengano gli esperti e facciano rumore. Ma non manchino nella scuola italiana, finalmente libera, persone esperte in umanità, in prudenza, in soda cultura, persone che possano serenamente vivere del loro lavoro, persone che si aggiornano con intelligenza in funzione della missione educativa, persone che sappiano collaborare in modo fruttuoso nelle decisioni dei consigli di Classe e che non usino l’autorità come autoaffermazione del proprio ego.

Occorre qualità, nella scuola, cioè persone di qualità che i genitori, anche i più in difficoltà, intuiscano come fari sicuri di bene per i loro figli, dall’assistente scolastico al dirigente.

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