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Europa: ultima chiamata

L’Europa tira il fiato e saluta la vittoria di Macron alle presidenziali francesi come fosse la vittoria di una guerra. E come in quel caso, sul campo restano macerie e feriti. Intanto ad essere colpito è stato il senso stesso della politica, che non è più sinonimo di inclusione e confronto ma divisione e scontro. E non è possibile liquidare la questione solo addossando agli estremismi la colpa di tutto, perché nell’analisi di ciò che accade ci si dimentica sempre del collegamento tra causa ed effetto. L’impoverimento delle popolazioni è un dato di fatto, l’immigrazione incontrollata anche; e se è innegabile che Marine Le Pen sia la grande sconfitta, lo è stata anche la democrazia francese, costretta a registrare con oltre il 25% di astensionismo un record storico dal 1969 e il record storico assoluto di schede bianche, il 12%.

Emmanuel Macron, il presidente più giovane della storia di Francia, lo sa, e mentre da una parte ferma l’onda populista di Trump e della Brexit e riporta la costruzione europea al centro delle priorità, dall’altra si affretta ad ammettere di essere “cosciente delle divisioni che hanno portato a voti estremi” e di “rispettarle”. Dopo quelli olandese e austriaco, regge dunque il muro francese ma ora è il momento di convincere gli europei. Macron ha ricevuto un forte sostegno da parte della Merkel che ne ha sottolineato a più riprese l’importanza per rinnovare il “motore franco-tedesco” dell’Ue, ma ora si passa ai fatti.

L’ampia vittoria di Macron è vista come l’atteso momento della “ripartenza” dell’Europa, più “forte” e “sociale“. “Mi rallegro che le idee che il neo presidente francese Emmanuel Macron ha difeso” durante la sua campagna elettorale “di un’Europa forte e progressista che protegge tutti i suoi cittadini sia quella che la Francia porterà sotto la sua presidenza nel dibattito sull’avvenire dell’Europa”, ha immediatamente scritto il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker nella lettera di congratulazioni a Macron. Perché, ha ricordato, “la storia della costruzione europea è così strettamente legata a quella della Francia che il dibattito pubblico” portato avanti da Macron “sulla posizione della Francia in Europa ha ampiamente superato le frontiere del Paese”.

Un’occasione per riorientare le politiche macroeconomiche e sociali Ue – anche nella direzione spinta dall’Italia – per ridare unità e convergenza all’eurozona, riequilibrando i rapporti economici e politici con la Germania. Parole, parole, parole.

Intanto – per restare alla Francia – Macron deve formare un governo (con l’attuale Assemblea Nazionale? Con una grande coalisione?), e il prossimo 10 giugno si torna a votare per le legislative. Secondo poi, il concetto del “pericolo scampato” non attiene ad uno sviluppo democratico.

Il populismo – come lo si chiama in senso dispregiativo – è ancora acceso e arde sotto la cenere. Basta un po’ di vento per riaccendere la brace. Il disagio esiste, ed è tangibile: l’Europa deve riflettere su questo, se non vuole morire.

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