Domenica scorsa abbiamo ascoltato due brevi parabole tratte dal capitolo quarto del vangelo di Marco, dedicato alle parabole della semina. Oggi il vangelo ci presenta l’episodio della tempesta sedata che conclude il capitolo. Gesù, il Seminatore, finita la sua giornata delle parabole, si affida al lavoro degli apostoli pescatori. Questo racconto di san Marco è di una grande ricchezza simbolica che rischia di sfuggirci, se lo leggiamo solo come uno dei tanti miracoli operati da Gesù. Partiamo dall’invito di Gesù: “Passiamo all’altra riva”. Questo invito può essere una chiave di lettura della nostra vita umana e di credenti. Noi passiamo da riva in riva, fino a raggiungere la riva eterna. Vorrei accennare a tre di questi “passaggi”, come stimolo per discernere quali rive oggi ci attendono.“Gesù disse ai suoi discepoli: Passiamo all’altra riva”
Dalla nostra riva all’altra riva!
Il passaggio a cui si riferisce Gesù, nel vangelo di oggi, è assai preciso. Si tratta di lasciare la sponda familiare dell’Israele credente per andare verso la sponda dei popoli pagani. È il passaggio verso la missione della chiesa. Tale passaggio non è stato mai facile e sereno. Passare “all’altra riva” ha implicato affrontare un mare di ostacoli, di persecuzioni, di pregiudizi, di rischi e di incognite. Un esempio emblematico è il caso di Paolo e compagni in missione, invitati a passare dalla sponda orientale verso l’Europa: “Durante la notte apparve a Paolo una visione: era un Macèdone che lo supplicava: Vieni in Macedonia e aiutaci! Dopo che ebbe questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci avesse chiamati ad annunciare loro il Vangelo.” (Atti 16,9-10). L’invito di Gesù, però, è una metafora della vita e della nostra esistenza. La vita esige da noi una grande elasticità. Non si cresce senza passaggi. Talvolta tali passaggi avvengono naturalmente, senza traumi. Altre volte, sono dolorosi e richiedono la traversata di un mare burrascoso, nel buio della notte e con venti contrari, rischiando di naufragare. La vita richiede da noi una grande disponibilità – mentale, psichica e spirituale – al cambiamento. Spesso resistiamo, preferiamo rimanere “nell’aldiquà” conosciuto e tranquillo, piuttosto che andare verso un “aldilà” incognito ed incerto. Ma chi si ferma è perduto o addirittura è già morto, soliamo dire. La vita non ama l’immobilismo, sia nella vita naturale che in quella della fede. Certe volte affrontare la sfida del cambiamento ci è imposta dalla vita stessa: un lutto, una malattia, una crisi matrimoniale, una relazione spezzata… Ci vuole coraggio per affrontare certe situazioni drammatiche e ritrovare un nuovo equilibrio. Altre volte è il Signore stesso che ci invita ad uscire dalla nostra mediocrità, ad andare verso “l’altro”, ad accogliere il povero e lo straniero, ad aprirci alla vita, ad assumere un nuovo impegno. Domandiamoci: quali sono i passaggi che la vita sta chiedendo da me e come li sto affrontando? A quali traversie mi sta invitando il Signore? Per caso, sto cercando di sfuggirle? “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”
Dalla riva del dubbio a quella della fiducia!
Nei passaggi ci troviamo spesso ad affrontare le tempeste della vita. Allora nel bel mezzo della burrasca ci assale il dubbio: ma è proprio vero che il Signore è con me, è con noi? Questa è stata da sempre la Grande Tentazione: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no? “ (Esodo 17,7). Se c’è qualcosa che il Signore non supporta è proprio questa: dubitare della sua presenza. Perché questo significa dubitare della sua essenza: Emanuele, Dio con noi (vedi Salmo 94 e la lettera agli Ebrei, cap. 4). Questa tentazione ci può sopraggiungere sia a livello personale, particolarmente in alcuni momenti drammatici dell’esistenza, sia a livello sociale ed ecclesiale, in questo nostro tempo di cambiamenti epocali, cioè, di pensare che non c’è più futuro per questa società o che la barca della chiesa stia per affondare. Questo dubbio non ci abbandonerà mai definitivamente. Alcuni salmi ci confortano perché danno voce ed espressione a questo nostro dubbio, che forse, per vergogna, avremmo preferito tacere: “Svégliati! Perché dormi, Signore? Déstati!… Perché nascondi il tuo volto?… Àlzati, vieni in nostro aiuto!” (Salmo 44). Sì, noi abbiamo spesso l’impressione che egli si addormenti. Si addormenta forse perché si fida di noi! Anzi, affida a noi la continuazione della sua missione. Questo sonno di Cristo, inoltre, è una allusione post-pasquale alla sua morte e alla sua “lontananza” dopo la risurrezione, quando l’uragano della persecuzione si accanirà contro i cristiani, minacciando di far naufragare la fragile barca di Pietro. Il sonno di Gesù, però, non è quello del profeta Giona che “sceso nel luogo più in basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente” (Giona 1,5), estraneo all’affanno dei suoi compagni di viaggio che affrontavano la tempesta. Il sonno di Gesù è quello della fiducia del Salmista: “In pace mi corico e subito mi addormento, perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare.” (Salmo 4,9). Gesù, inoltre, ha il cuore dell’amante: “Io dormo ma il mio cuore veglia” (Cantico dei cantici 5,2). Egli, Gesù, dorme alla poppa, cioè al timone, ma il suo cuore veglia per i suoi compagni di viaggio. Non illudiamoci. Tutto il nostro viaggio di fede sarà un permanente passaggio dal dubbio alla fiducia, fino a raggiungere la sponda della serenità dell’abbandono filiale. “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”
Dalla riva dell’incredulità a quella della fede!
L’incredulità lascia Dio fuori della barca. Si conta solo sulle proprie forze. Talvolta nemmeno contiamo sugli altri perché “chi fa per sé fa per tre!”, dice il proverbio. Si tratta di una logica prometeica, volontarista e individualista della vita. Ciò può capitare anche a noi, cosiddetti credenti. Pensiamo di navigare sulla barca di Cristo ma, in realtà, ci siamo imbarcati su un’altra barca, quella del materialismo o dello spirito mondano, del potere o del benessere. Nella barca di Cristo vige la logica del rischio, del dare la vita, mentre nella barca del mondo predomina la legge del “salva te stesso!”. Domandiamoci dunque, se siamo sulla barca giusta, quando affrontiamo certi passaggi o problematiche decisive della nostra esistenza. Una cosa è viaggiare con Gesù, anche se sembra dormire, ed un’altra è ‘averlo dimenticato sulla riva. Questa è la tentazione di prescindere dalla fede quando affrontiamo i problemi concreti della vita. Peggio ancora se abbiamo addomesticato un Gesù a nostra misura! Cristo bisogna prenderlo “così com’è”: “Lo presero con sé, così com’era, nella barca”. E “così come egli è” ci stupirà sempre: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.