Ecco che si riapre la questione lavoro già nel dibattito in Parlamento sulla fiducia. Si riapre sul salario italiano, unico caso in diminuzione da anni tra i paesi Ocse, aggravato ancor più dall’inflazione e dunque dal maggior costo della vita e da bollette assai gravose. Inoltre incombe su di noi la crisi dell’estesa galassia delle imprese piccole e medie di ogni settore che può condurci a ulteriori prove dolorose di perdita di posti di lavoro. Dunque bisognerà prepararsi bene ad affrontare ogni accadimento con proposte responsabili ed alleanze credibili con parti sociali capaci di esprimere soluzioni ragionevoli per superare le posizioni assistenzialiste nocive per lavoratori ed economia.
Il Presidente Meloni ed il ministro del lavoro Marina Calderone, farebbero bene a tessere da subito la tela di rapporti con i soggetti sociali interessati a chiudere la stagione disastrosa che ha compromesso il lavoro italiano, influenzata da populismo ed antagonismo che hanno indirizzato verso soluzioni anti produttive, costose e diseducative per la cultura del lavoro, che hanno concorso negli anni al risultato clamoroso di salari bassi, insufficienti professionalità nuove, bassa produttività, endemica disoccupazione.
Giorgia Meloni ha già dato in Parlamento delle indicazioni importanti per il sostegno del salario, con la revisione del cuneo fiscale, per abbatterne 5 punti di cui due terzi a favore dei lavoratori ed un terzo per le imprese. È questa una buona prospettiva di inizio, potrà diventare fattibile, alla sola condizione di non sommarla ad altre improbabili interventi fiscali come la flat tax. A meno che il governo preveda nell’immediato grandi successi per il Pil e vigorosi tagli di spesa pubblica. A tal punto, il salario potrà diventare più consistente attraverso il taglio fiscale, ed attraverso la detassazione del salario di produttività e del welfare aziendale. È importante che Giorgia Meloni si sia espressa in questo senso; infatti questa via può decisamente concorrere alla crescita salariale, ed ha il pregio di indicare finalmente la strada per ricostruire in Italia l’idea elementare, da sempre ideologicamente contrastata, che il benessere di chi lavora può avvenire esclusivamente attraverso la crescita della qualità e quantità della produzione.
Perché abbia forte ed immediato impatto economico nei bilanci delle famiglie, il salario di produttività dovrà essere completamente detassato, sapendo peraltro che in tal modo gli introiti per le casse statali restano invariati ma si giovano del maggiore volume dei consumi e di maggiore consistenza economica. Sul salario minimo la indicazione del Presidente del consiglio si è appoggiata sulla indicazione UE di farlo regolare dalla contrattazione nazionale dove è molto sviluppata come in Italia, ed allora presto si dovranno individuare le soglie minime, ad esempio con accordi interconfederali, ed allestire controlli che per esempio la vigilanza INPS può esercitare attraverso la verifica delle contribuzioni medie delle aziende.
Il governo inoltre si è pronunciato sulla rimozione del reddito di cittadinanza. Si sono sprecati fiumi di parole in passato per giustificarne l’esistenza, ma si è volutamente nascosta una verità. Nel pessimo provvedimento del primo governo Conte, si sono voluti mischiare assistenza, politiche attive del lavoro, provvedimenti sulla povertà, ma è stato un disastro proprio per questa ragione. Questi aspetti in sintesi vanno separati, in modo tale che i poveri che non possono procurarsi da vivere per propri limiti gravi, vengano aiutati; gli altri che possono lavorare, vengano sostenuti con politiche attive in modo di inserirsi o reinserirsi presto al lavoro. Ora non si può che sperare che le parti sociali i partiti e i governanti, chiudano la stagione della confusione inaugurando quella della responsabilità.