Lo scorso dicembre, otto associazioni no profit hanno impugnato avanti al TAR Lazio il decreto del Direttore di AIFA dell’8 ottobre 2020, con cui è stata eliminata la ricetta medica per le minorenni che intendono far uso di EllaOne, cioè della c.d. “pillola dei cinque giorni dopo”. Lo scopo del ricorso è stato quello di tutelare le ragazze più giovani, cui AIFA ha tolto qualsiasi supporto medico preventivo e qualsiasi “compagnia” dei genitori di fronte alla scelta di assumere un farmaco altamente invasivo. Un farmaco, EllaOne, venduto come contraccettivo d’emergenza, ma che, secondo ampia letteratura scientifica, nonché per il parere del Consiglio Superiore della Sanità 10 marzo 2015, può anche impedire all’ovulo già fecondato di impiantarsi nell’endometrio. Tuttavia, di tale possibilità antinidatoria e abortiva nulla si dice nel “bugiardino” cosicché, eliminato anche il previo consulto medico, difficilmente vi potrà essere una sufficiente consapevolezza per le donne più fragili, quali oggettivamente sono le ragazze minorenni.
Nel costituirsi in giudizio con l’Avvocatura dello Stato, l’Agenzia Italiana del Farmaco aveva persino tentato di negare la legittimazione a impugnare delle associazioni ricorrenti, in quanto “impegnate secondo prospettive ideologiche” e “condizionate da aspetti dogmatici che mal si conciliano con una rigorosa e obiettiva trattazione di temi quali il diritto alla vita, il diritto all’aborto, le unioni civili, l’eutanasia, l’obiezione di coscienza e la contraccezione di emergenza”. Chiaro? Secondo l’Avvocatura dello Stato chi si impegna per la vita non potrebbe trattare pubblicamente questi temi, e nemmeno farsi ascoltare dai Tribunali della Repubblica!
Con sentenza n. 6657 del 4 giugno 2021 il TAR ha deciso il ricorso delle Associazioni, respingendolo. Tuttavia, è stata (almeno) rigettata la aberrante pretesa della pubblica difesa di AIFA di mettere il bavaglio alle associazioni pro-life. Il Giudice Amministrativo del Lazio, infatti, ha richiamato l’ampia tutela che è invece assicurata ai “corpi intermedi” dall’art. 2 della Costituzione, concludendo, sul punto, che “ai fini della libertà di associarsi non possono invocarsi particolari differenziazioni in termini culturali onde poter aver accesso a determinati strumenti offerti dall’ordinamento” quale la “tutela giurisdizionale avverso gli atti della PA, pena la violazione di fondamentali principi costituzionali”.
Quanto agli specifici temi sollevati sul farmaco EllaOne, il TAR Lazio ha invece in pratica scelto di non affrontarli, arrestandosi sull’uscio delle gravi questioni evidenziate, in quanto “l’attività amministrativa al riguardo esercitata è squisitamente connotata da discrezionalità tecnica”, il che comporterebbe che nella sede giurisdizionale non possono essere esaminati “meri giudizi di non condivisione” delle “conclusioni fornite da organi tecnico-amministrativi”.
Ben si sa che il Giudice Amministrativo vaglia la sola legittimità e non il merito degli atti della P.A., ma in tale esame dovrebbe ben essere compresa anche la verifica di incoerenze logiche delle valutazioni esposte.
Proprio qui il ragionare del TAR Lazio si indebolisce. Nel punto, cioè, in cui osserva che “il meccanismo principale – di EllaOne – è l’interruzione dell’ovulazione [effetto anticoncezionale]”, mentre “altri meccanismi [antinidatori e abortivi] sono stati postulati, ma non sono sufficientemente supportati dai dati”. Ma a tale giudizio di “insufficiente supporto” si perviene proprio omettendo totalmente e dimenticando molti “dati” offerti in atti. La sentenza di primo grado trascura del tutto sia la ampia letteratura scientifica nazionale e internazionale (quali, fra i tanti, gli studi di EMEA-261787-2009 o Lira Albarràn 2018), sia, e soprattutto, le ineludibili conclusioni del Consiglio Superiore della Sanita del 10 marzo 2015, che, per il farmaco EllaOne, hanno esplicitamente attestato “di non poter escludere un’azione antinidatoria”. Dunque, solo in forza di una radicale rimozione di evidenti “dati” e fattori scientifici il TAR giunge ad affermare che sui rischi abortivi di EllaOne vi sarebbe una “carenza di letteratura”.
Vi è di più. Il TAR non solo tace sull’esistenza di autorevolissime fonti scientifiche che pongono in guardia dagli effetti antinidatori del farmaco, ma addirittura ammette che “AIFA ha sostanzialmente fatto propria una relazione di parte”. Proprio così. Papale-papale: la sentenza riconosce che AIFA ha recepito una prospettiva di “p-a-r-t-e”, cioè quella della sola casa farmaceutica per chiedere l’eliminazione della ricetta medica per le minori e puntare a moltiplicare le proprie vendite. Come sta puntualmente avvenendo.
Ma una valutazione di “parte” non è in sé stessa antitetica a quell’opposto principio di “imparzialità” che invece l’art. 97 della Costituzione impone a tutte le Pubbliche Amministrazioni? E il fondamentale scrutinio di ordine “logico” sugli atti della P.A. che la Costituzione affida alla Giustizia Amministrativa non dovrebbe innanzitutto svolgersi proprio sulla base dell’imprescindibile “imparzialità” dell’azione pubblica? Invece, é sembrato piuttosto prevalere una sorta di novello “ipse dixit”, che renderebbe sempre assai poco incisivo qualsiasi vaglio all’operato della Pubblica Amministrazione azionato dai cittadini.
Non è tutto: almeno un ulteriore profilo della sentenza in commento deve grandemente preoccupare. La platea dei destinatari del decreto AIFA sono le ragazze minorenni. I minori -come noto- non hanno piena capacità di agire per l’ordinamento vigente e per questo l’art. 3, comma 2, della legge 219/2017 impone che il consenso ai trattamenti sanitari sia fornito dai genitori, anche considerando la volontà degli stessi infradiciottenni. Come verifica, dunque, il TAR Lazio il rispetto della prestazione del consenso informato alle minorenni? Semplicemente negandolo alla radice. Sul punto, infatti, la sentenza 6657/2021 così scrive: “Tale normativa si riferisce all’area dei trattamenti sanitari non anche a quella della dispensazione dei farmaci da banco (oggetto di più specifica contestazione in questa sede). Di qui l’infondatezza della censura” relativa al “consenso informato”.
Dunque, una pillola come EllaOne (di certo) anticoncezionale, con un bugiardino lungo pagine per mettere in guardia dagli effetti collaterali della stessa, sarebbe equiparabile a una mentina per l’alito e non avrebbe affatto bisogno del consenso informato, né del minore né dei genitori. Si può davvero bypassare così clamorosamente il ruolo che la legge impone ai genitori in materia sanitaria per i minorenni?
Peggio ancora. Se il consenso della minorenne non è necessario per la somministrazione del farmaco EllaOne, ciò significa che la “pillola dei cinque giorni dopo” potrebbe essere somministrata a una giovanissima anche a prescindere dal pieno consenso della stessa, oltre che di quello dei suoi genitori. Si possono forse ignorare le situazioni concrete in cui questa inedita “liberatoria” dal consenso informato potrà avere conseguenze? Può, ad esempio, davvero sfuggire a quali pressioni, condizionamenti, imposizioni possa essere sottoposta una giovane di quindici o sedici anni dopo una relazione sessuale magari occasionale che si tema diventare “scomoda” per il partner? Siamo davvero certi che in simili situazioni lasciare le ragazze più giovani da sole, senza nemmeno pretendere che possano esprimere una consapevole volontà voglia dire davvero amare la loro libertà? Tutte domande, queste, che verranno presto proposte, in appello, al Consiglio di Stato.