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Quanto saranno efficaci le misure prese dal Governo contro il Covid-19?

E’ consentito affermare di essere stati colti di sorpresa? Domenica pomeriggio il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, ospite a Mezz’ora in più su RaiTre, ci aveva rassicurati. “Che ci sia stata un’accelerazione, negli ultimi 10-15 giorni, del numero dei contagi in tutta Italia è un dato di fatto. Ma andrei cauto – aveva sostenuto il presidente – prima di parlare di crescita esponenziale. Non siamo in questa situazione”. “È giusto guardare ai numeri con massima attenzione e allerta, ma non siamo in una situazione né di panico né di allarme. Degli 11mila casi registrati ieri, solo un terzo è sintomatico. Nella fase critica, a marzo, individuavamo tutti soggetti sintomatici”. E ancora: “Siamo a quasi 700 persone ricoverate in terapia intensiva, un numero che non è paragonabile al momento del picco” della scorsa primavera.

Inoltre, ha osservato il professore, l’Italia è “un Paese con tasso di positivi in rapporto ai tamponi tra i più bassi d’Europa. La situazione sanitaria non è comparabile con marzo”, ha ribadito. Se lo dice lui, il capo degli esperti che da mesi orientano le scelte e le decisioni delle istituzioni nella lotta contro il contagio, possiamo evitare, se non un contagio asintomatico, almeno il virus del panico che durante la prima fase ci ha rinchiusi nel tinello di casa nostra a giocare alla battaglia navale con il figlio più grande che non poteva andare a scuola. Ma il racconto di Locatelli si diffondeva ancora in assicurazioni. “Non credo che dobbiamo arrivare” a un coprifuoco serale per contrastare la diffusione dei contagi da coronavirus, “certo un occhio sugli assembramenti forse va dato, magari implementando i meccanismi di sorveglianza”. Per Locatelli, poi, “in Italia abbiamo imparato a proteggerci” e “abbiamo una formidabile capacità di fare tamponi”. “Io credo che le Regioni abbiano tutta una serie di piani per attivare le rianimazioni. Non sono stati attivati perché non ce n’è stata l’esigenza. Abbiamo 700 terapie intensive su 6.600 adesso”.

Sempre secondo il presidente del Cts, è “indubitabile che ci sia stata forte crescita” del numero di contagi negli ultimi giorni, ma, non è necessario chiudere le scuole. “Prima la scuola – ha sottolineato – La scuola, insieme al lavoro e alle attività produttive, è la priorità. É stato fatto uno sforzo straordinario e va tenuta aperta. Il contributo della scuola nella diffusione del virus non è assolutamente d’impatto’’.  E il vaccino li hanno chiesto? “Probabilmente lo avremo disponibile nella primavera del 2021”. “Fino ad allora dobbiamo convivere in modo da minimizzare l’impatto del coronavirus sulla vita degli italiani”.

Quanto al rischio di una nuova chiusura generalizzata del Paese, Locatelli ha commentato: “Voglio sperare che non arriviamo a lockdown su scala nazionale, si sta lavorando a questo, anche per contemperare la tutela della salute con il mantenimento delle attività produttive nel Paese”.  Se il numero di contagiati da coronavirus arriverà o arrivasse in Italia a quota 600mila, allora sì che si potrebbe parlare di pandemia “fuori controllo”, ha chiarito Locatelli. Sono diversi i fattori da considerare prima di poter parlare di pandemia fuori controllo: “occupazione posti letto, contact tracing”. Oggi c’è una linea di pensiero che si sta sviluppando in ambito europeo secondo cui “il sistema rischia di andare fuori controllo quando c’è circa l′1% di popolazione infetta, in Italia quindi 600.000 persone”. Questa “è una variabile troppo influenzata da una serie di strategie che prevengono questo scenario, i modelli matematici sono utili ma – ha tenuto a sottolineare Locatelli – bisogna tenere in considerazione i dati che possono interferire. Ci sono poi anche dei contesti che vengono a essere influenzati dai mesi di febbraio e marzo”.

Ci sono sembrate considerazioni molto nette (come si conciliano con l’allarme lanciato poche ore dopo da Conte e con le misure adottate?); le stesse valutazioni erano contenute nell’intervista a Il Foglio di Agostino Miozzo, componente anch’esso del Cts, secondo il quale una buona organizzazione può aiutarci ad evitare di correre un rischio che non possiamo permetterci: occuparci di come non morire di covid senza occuparci di come non morire di fame’’.

Tutto ciò premesso, a proposito degli ultimi provvedimenti assunti con Dpcm, le indiscrezioni raccontano che il presidente Conte ha resistito alle richieste di maggiori chiusure provenienti da alcuni ministri.  Del resto, anche i divieti recentemente adottati presentano, ad avviso di chi scrive, parecchie perplessità. Purtroppo non siamo a conoscenza delle modalità con cui si contraggono i contagi. Si dice che ben 4/5 avvengono nell’ambito familiare. Ciò significa, allora, che il virus viene introdotto da fuori. E corre la voce che i nipoti scapestrati vadano a fare la movida, contraggano il contagio da asintomatici, rincasino ad infettare i nonni (che di solito abitano altrove). Le analisi – fatte come Dio vuole – portano a ritenere che i contagi si diffondano negli assembramenti, i quali si moltiplicano di notte, perché gli italiani sono come le lucciole (specie in via di estinzione): vivono nelle tenebre

E’ parere acquisito tuttavia che i luoghi chiusi (scuole, ambienti di lavoro, locali pubblici, negozi, ristoranti, ecc.) siano più sicuri perché organizzati e predisposti secondo le disposizioni di salvaguardia. Non ha senso, allora, chiudere (in modo anticipato) i luoghi sicuri per evitare che le persone li frequentino in condizione di sicurezza. Come ha affermato il prof. Miozzo per ridurre i flussi degli studenti alla mattina non è necessario chiudere le scuole ma è sufficiente studiare i flussi e cambiare gli orari di accesso. Una misura che può essere assunta – a mio avviso – anche in modo radicale: dividendo i flussi in parte alla mattina, in parte al pomeriggio. In questo modo si distribuirebbe meglio la pressione sui mezzi pubblici. Non ci sarebbe bisogno di nuovi locali e nuovi docenti. Anche con il DAD occorre usare prudenza e buon senso. Senza gettare il bambino insieme all’acqua sporca del bagnetto, ma pure senza affidarsi troppo a prime esperienze fondate sulla buona volontà di dirigenti scolastici e docenti.

Quanto poi all’obbligo di smart working in percentuali di rilievo nella PA, non prendiamoci in giro: ciò significherà chiudere gli uffici e lasciare il personale a casa senza avere nulla da fare. Alla faccia della semplificazione amministrativa. Per semplificare la PA occorre garantirsi, in primo luogo, che ci sia una PA.

A leggere i Dpcm è facile intendere che il governo procede a tentoni, sa che deve fare qualche cosa, ma non sa bene se le misure serviranno o meno. Poi c’è una grande confusione tra le istanze di governo, in una logica che – col pretesto delle competenze – è protesa allo scaricabarile. Non si è compresa, per esempio, la protesta dell’ANCI quando il governo ha affidato ai sindaci di individuare le piazze e le località più critiche nelle città amministrate. Poi l’hanno aggiustata mettendo in campo i prefetti. I recenti provvedimenti colpiscono particolarmente alcune categorie (locali e servizi pubblici) che hanno pagato un prezzo altissimo durante la fase 1. La sicurezza di noi tutti non può continuare a gravare sui soliti.

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