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Ecco perché senza mascherina torna l’influenza stagionale

In tutta Italia l’influenza è tornata massicciamente dopo due anni di assenza durante la pandemia di Covid-19. Finora le mascherine avevano frenato oltre al Sars anche il virus stagionale. L’influenza è un problema di sanità pubblica con un considerevole impatto dal punto di vista epidemiologico, clinico ed economico. Ciò è riconducibile a più fattori: l’ubiquità e la contagiosità della malattia, la variabilità antigenica dei virus, l’andamento epidemico (e periodicamente pandemico) e stagionale, la possibilità di complicanze gravi in alcune categorie di soggetti (bambini, anziani, persone con comorbidità e malattie croniche), i costi di gestione in caso di complicanze e i costi sociali (giorni lavorativi persi, perdita di produttività).

Nelle ultime settimane la curva della sindrome tradizionale è tornata a salire e in tutte le regioni si registra l’incremento delle infezioni influenzali isolate nelle ultime settimane. E il Piemonte ha il tasso di incidenza più alto. E’ un effetto indiretto dell’attenuazione delle misure anti-Covid. Nel biennio della pandemia i provvedimenti contro il Sars-Cov-2 (mascherine, frequente igienizzazione delle mani, distanziamento sociale) hanno frenato la diffusione dell’influenza stagionale. Ora, con l’abbassamento della soglia di attenzione anti-Covid, torna a manifestarsi su vasta scala la sindrome tradizionale.

L’influenza è una malattia respiratoria acuta causata da virus influenzali. È una malattia stagionale che, nell’emisfero occidentale, si presenta durante il periodo invernale. Il primo isolamento nell’uomo risale al 1933 in Inghilterra (ma in precedenza erano già stati isolati virus influenzali sia nei polli che nei suini). Da allora, ne sono stati identificati quattro tipi differenti, tutti appartenenti alla famiglia Orthomixoviridae: i tipi A e i B, responsabili della sintomatologia influenzale classica; il tipo C, di scarsa rilevanza clinica (generalmente asintomatico); il tipo D, la cui possibilità di infettare l’uomo non è ancora chiara.

I virus dell’influenza A sono ulteriormente suddivisi in sottotipi sulla base di differenze molecolari nelle due glicoproteine di superficie emoagglutinina (HA) e neuraminidasi (NA). La ripresa del virus stagionale rappresenta una dinamica prevedibile ma da non sottovalutare nei suoi effetti, soprattutto sulle fasce più fragili della popolazione e per le ricadute sulla tenuta di un sistema sanitario ancora sotto stress per il Sars-Cov-2. Non si arresta, infatti, la corsa primaverile dell’influenza. La rete di sorveglianza InfluNet dell’Istituto Superiore di Sanità registra un picco di nuovi casi, superiore alla soglia raggiunta nella settimana tra Natale e Capodanno scorsi. In pratica si tratta di milioni di italiani messi a letto da sindromi simil-influenzali dall’inizio della stagione. Sono i bambini con meno di 5 anni di età i più colpiti.

Alla base dell’epidemiologia dell’influenza vi è la marcata tendenza dei virus influenzali a mutare, cioè presentare variazioni antigeniche nelle due glicoproteine HA e NA che permettono loro di eludere la risposta immunitaria dell’ospite dovuta a precedenti infezioni e trova quindi gran parte della popolazione immunologicamente suscettibile e può quindi diffondersi ampiamente e rapidamente. Di queste variazioni molecolari va tenuto conto nella preparazione dei vaccini, la cui composizione deve essere aggiornata tutti gli anni ed in questo le attività di sorveglianza sono fondamentali per selezionare i ceppi specifici da inserire sulla base del grado di differenza epidemiologica e sierologica rispetto a ciò che ha circolato nelle stagioni precedenti.

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