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Ecco la vera risorsa di una scuola in affanno

Si è discusso molto, nei giorni scorsi, attorno a un dato, quello dei posti che risultano vacanti dopo i trasferimenti del personale docente, su cui la mia organizzazione, elaborando i resoconti del Ministero sulle operazioni di mobilità, ha voluto richiamare con forza l’attenzione. Non è infatti di poco conto avere 85.150 posti scoperti su un organico che ne conterà, il prossimo anno scolastico, 771.003. Significa prevedere un 11% di lavoro precario, percentuale che potrà ridursi con le effettive assunzioni in ruolo (sicuramente meno di quelle possibili, come accade ormai da anni), per aumentare vistosamente quando si dovranno coprire i posti aggiuntivi, prevalentemente sul sostegno, da attivare sull’organico “di fatto”. Per intenderci, quelli che per la loro natura provvisoria – anche se si tratta di una provvisorietà che si ripropone in modo puntuale e costante ogni anno – non possono dar luogo ad assunzioni a tempo indeterminato. Sono state più di 180.000 le supplenze su posti funzionanti per l’intero anno scolastico nel 2019/20, facile prevedere che nel prossimo possano ulteriormente aumentare.

I concorsi ordinari banditi non avranno pratica efficacia se non a partire da settembre 2021; lo stesso vale per quello straordinario, che se fossero state accolte le richieste dei sindacati avrebbe consentito, nonostante l’imprevista emergenza pandemica e i suoi inevitabili riflessi anche sulle procedure di reclutamento, una significativa quota di stabilizzazioni già il prossimo settembre. Hanno prevalso purtroppo irrigidimenti di stampo ideologico in difesa di una malintesa (e anche per questo inconcludente) meritocrazia, e queste sono le conseguenze. Malintesa, perché presuppone che le decine di migliaia di precari cui affidiamo ogni anno – e per tanti anni – i nostri alunni siano una massa di “incapaci e immeritevoli”, e che si possa rubricare come sanatoria di basso profilo ogni richiesta di veder valorizzata la loro esperienza di lavoro. Ma non è questo il tema, anche se sul reclutamento andrebbe fatto finalmente un discorso serio, dopo anni e anni di proclami sterili (mai tanti supplenti come da quando si annunciò solennemente la fine della “supplentite”).

Un anno scolastico che avrebbe avuto quanto mai bisogno di una scuola adeguatamente attrezzata, che vuol dire anche e soprattutto avere tutti i posti di organico coperti sin dal primo giorno con la massima stabilità, si trova esposto a incertezze e ai rischi di possibili ritardi nelle operazioni di nomina; incertezze da sommare alle tante che ancora permangono sugli aspetti organizzativi da mettere in atto per coniugare l’esigenza impellente di ritornare alle attività scolastiche in presenza con quella – altrettanto cogente – di farlo in condizioni di massima sicurezza. Non solo per il personale scolastico, sia chiaro, ma per l’intera collettività, per le implicazioni e i riflessi di ordine generale che comporta lo svolgersi di attività nelle quali sono coinvolte dieci milioni di persone. Si tratta di preoccupazioni che la stessa Protezione Civile, incontrando i sindacati scuola giovedì scorso, ha voluto sottolineare, invitando a porre la massima attenzione sugli elementi fondamentali di cui tenere conto per un’efficace prevenzione dei rischi di contagio. L’incontro di giovedì prelude a un successivo appuntamento, già fissato per il 9 luglio, quando Ministero e organizzazioni sindacali riprenderanno il confronto in vista della definizione di un protocollo per l’attuazione delle misure di sicurezza in vista della ripresa delle attività in presenza.

Siamo certamente in ritardo, specie se si considera la complessità delle questioni da affrontare: basti pensare che lo stesso sciopero dell’8 giugno scorso nasceva proprio dalla perdurante assenza di risposte da parte del Governo su come far riemergere la nostra scuola da una condizione innaturale di lockdown protrattasi oltre l’immaginabile. E da allora è trascorso un altro mese senza passi in avanti, il che avvalora quanto ha scritto di recente Carlo Verdelli, ossia che nel nostro Paese stia andando in scena “una prova corale di negligenza collettiva”, che ha visto “declassare l’educazione a emergenza secondaria, anzi a ultima delle emergenze”. Idee confuse, risorse insufficienti. Il miliardo in più che il Governo si è detto pronto a stanziare in vista della riapertura delle scuole è un fatto positivo, ma non basterà certo a coprire un fabbisogno che potrebbe rivelarsi di gran lunga più consistente, specie se si prenderà finalmente atto che serve più personale, sia docente che ATA, per gestire le attività scolastiche rispettando tutti i parametri indicati dagli esperti e ripresi nelle “Linee guida”, in particolare la costituzione di classi meno affollate e le esigenze di controllo, pulizia e igiene dei locali.

L’impatto della pandemia sull’organizzazione del sistema scolastico, con le connesse difficoltà a gestire efficacemente il ritorno alla didattica in presenza, ha reso più evidente un deficit di attenzione che si trascina da tempo: la maggior parte dei problemi per i quali si fatica a trovare soluzioni non nascono certo oggi, ma sono il frutto di lunghe stagioni di miopia politica, col risultato di ritrovarci nei confronti internazionali come uno dei Paesi con percentuali di investimento in istruzione nettamente inferiori alla media. Al momento, l’unica risorsa su cui la scuola sa di poter contare con certezza è quella costituita dalla professionalità del suo personale, capace di rimodulare e spesso di reinventare nei mesi scorsi il proprio lavoro, svolto in condizioni inedite e imprevedibili. Le difficoltà affrontate si sono tradotte in un bagaglio accresciuto di capacità e di esperienza, che potrà rivelarsi utile e prezioso anche in prospettiva. Una grande prova di resilienza, quella dote che ci fa capaci di affrontare le difficoltà trasformandole in opportunità di crescita. Il Paese avrebbe tanto bisogno di una politica che si dimostri in grado di fare altrettanto.

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