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E sia la luce

Nella Bibbia il primo atto compiuto da Dio subito dopo la creazione del cielo e della terra fu quello di far luce sopra la faccia dell’abisso per allontanare le tenebre. In un palazzo occupato al centro di Roma, da una settimana, vivevano al buio 450 persone, inclusi 98 bambini alcuni dei quali gravemente ammalati e attaccati all’ossigeno. Per effetto del un gesto “d’impeto e di disperazione” il silenzio della burocrazia e l’indifferenza della società sono stati infranti come i sigilli apposti ad una centralina elettrica e così il condominio Ex Inpdap di via Santa Croce di Gerusalemme ha riavuto la luce.

Sabato sera l’elemosiniere del Papa, il cardinale polacco Konrad Krajewski ha riallacciato personalmente la corrente elettrica staccata per morosità assumendosi la responsabilità di un atto di disobbedienza civile. E’ facile giudicare da fuori questa vicenda contrapponendo carità e legalità. Meno scontato ma più utile è provare a inserirla nel contesto in cui si è svolta. Monsignor Krajewski, stretto collaboratore di Papa Bergoglio, era stato più volte nel palazzo per portare aiuti a famiglie in gravi situazioni di necessità e aveva chiesto invano alle autorità di soccorrere persone fragilissime, rimaste senza luce né acqua. Un grido d’allarme rimasto inascoltato. Un’emergenza condannata a rimanere invisibile.

Dietro il gesto del porporato ci sono la presa d’atto dell’attuale vuoto di rappresentanza politica e sindacale, ma anche un fecondo filone di dottrina sociale della Chiesa. Dai migranti all’emergenza abitativa, il Vaticano di Papa Francesco applica la lezione del Concilio e mette al centro del Magistero economico la scelta prioritaria per i poveri. Di ritorno da Lesbo dove ha portato 100 mila euro di aiuti del Papa ai profughi trattenuti nell’isola greca, il cardinale Krajewski, ha agito d’impeto rendendosi conto di come nello stabile romano la situazione fosse ormai insostenibile. Probabilmente l’azione non era stata concordata esattamente in questi termini con il Papa, ma la sensibilità verso il disagio è la stessa. Dalla mattina alla sera l’elemosiniere vive accanto ai poveri e porta aiuti in prima persona.

Da tempo la Santa Sede viene accusata da settori politici di farsi carico prevalentemente dei bisogni di immigrati ed irregolari. Il cardinale era consapevole di andare incontro ad azioni legali per la violazione dei sigilli della cabina elettrica di un palazzo occupato con 300 mila euro di bollette non pagate, ma si è preoccupato di chi soffre. “Se conoscessi tutta la scienza, ma non avessi la carità, non sarei nulla”, scrive San Paolo nella prima lettera ai Corinzi. Quanti sapevano che nel cuore della capitale il disagio avevano raggiunto simili livelli?

L’intervento del cardinale ha acceso un riflettore su abisso interrogando le coscienze anestetizzate dalla globalizzazione dell’indifferenza. Non è una benedizione dell’abusivismo né uno sconfinamento di campo della Santa Sede. Occupare palazzi è contro la legge e togliere la luce a chi è moroso è quanto prescrivono i codici. Il doveroso rispetto della forma, però, non può far dimenticare il contenuto. E cioè lo stato di abbandono in cui versano sempre più persone, abbandonate da tutti fuorché dalla Chiesa che resta spesso sola laddove lo Stato ha smesso di intervenire e così facendo si espone agli attacchi pur di dare voce a chi non ce l’ha.

 

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